Il Bravo Ragazzo di Dean R. Koontz

Titolo: Il bravo ragazzo
Autore : Dean R. Koontz
Anno: 2009, 369 pag.
Editore: Sperling & Kupfer
Tim è al suo solito bar quando uno sconosciuto gli mette in mano una busta e se ne va. Dentro, diecimila dollari in contanti e la foto di una bella donna con tanto di indirizzo. Poco dopo, un altro uomo gli si siede accanto e si mette a fissare la busta. Al volo Tim capisce che ha ricevuto per sbaglio la commissione per un omicidio e che quello al suo fianco è il vero killer. Gli dà la busta con i soldi, senza la foto: "Ho cambiato idea. Questo è per il disturbo". Sa però che l'equivoco non durerà a lungo e che gli resta poco tempo per avvisare la vittima designata. Inizia così una disperata corsa contro il tempo che stravolgerà la sua esistenza - di normale bravo ragazzo costringendolo a trovare il coraggio per mettere a rischio la propria vita e diventare, suo malgrado, un eroe.
Il caro Dean lo compravo e lo compro a volte ancora a scatola chiusa. Cioè senza avere letto nessuna recensione, senza suggerimenti e senza (quasi) leggere la quarta di copertina.
Questo perché negli anni ho imparato a conoscerlo, e alcuni suoi romanzi, come Le Lacrime del Drago e Il Posto del Buio, sono per me delle pietre miliari della sulla impressionante bibliografia. Tra l'altro ho scoperto solo qualche anno fa che è anche un apprezzato autore di sci-fi, e alcuni suoi romanzi degli anni sessanta e settanta sono stati pubblicati da Urania con discreto successo.
Detto questo, io ho sempre apprezzato il Koontz scrittore di thriller/horror/vattelapesca, anche se negli anni alcune suo opere mi hanno lasciato un po' perplesso, per questa sua tendenza a creare personaggi troppo buoni o troppo cattivi, e, a mio giudizio, troppo finti. Oppure libri un po' pacco, come Phantoms o Il cattivo fratello.
È per questo che mi sono avvicinato a Il Bravo Ragazzo con una certa perplessità, per poi lasciarmi coinvolgere dalla storia e dal personaggio. A differenza di altre trame, questa mi è sembrata più calibrata, il protagonista, anche se, come al solito, è troppo americano, è comunque credibile e ben caratterizzato. Forse il cattivo è dipinto ancora una volta come troppo cattivo. Ok è pazzo, è mentalmente instabile, comunque a me è sembrato in alcuni passaggi poco credibile. Affascinante, senza ombra di dubbio, in alcuni punti irritante, ma certamente godibile.
Certo, non è un romanzo da strapparsi i capelli e gridare al miracolo. È una storia koontziana, tutta suspence e pericolo, con colpi di scena a volte prevedibili, ma comunque adrenalinico e divertente.
Insomma, un romanzo di tutto rispetto per passare piacevoli ore di intrattenimento.
GIUDIZIO: 3 su 5

E per finire vi lascio con un video divertente.


Imperialism

Imperialism è un altro di quei giochi che ho amato per la sua giocabilità e rigiocabilità.
Come avrete di certo intuito, ho sempre apprezzato in modo particolare questo tipo di giochi, soprattutto se strategici a turni e con una grafica sgrausa. Distribuito da SSI nel 1997 gira sotto win e quindi non vi servirà un emulatore dos.
Di cosa si tratta?
Semplicemente si devono prendere in mano le sorti di una nazione imperialista a partire dal 1815 e portarla all'apice della potenza militare, economica, industriale e coloniale.
Occhio, ma non nel mondo come lo conosciamo noi: in un scenario random ogni volta diverso.
All'inizio si è veramente poveri, e si dovrà puntare sullo sviluppo delle infrastrutture e dell'industria, senza perdere d'occhio la diplomazia, altrimenti dopo una ventina di turni vi troverete circondati da nemici. Fattore determinante per una buona diplomazia e commerciare, sia con le potenziali colonie che con gli altri imperi. Sì, perché si possono intessere trame di allenze così da poter essere perlomeno al sicuro per un po' e sviluppare in modo adeguato la propria nazione.
Figoso anche il fatto che più passano i turni e gli anni, nuove tecnologie spunteranno per aiutarvi nella crescita.
Il turno di gioco si divide sostanzialmente in quattro fasi, e cioè lo spostamento e il posizionamento delle truppe sulla mappa di gioco, tra cui le importantissime flotte che difendono le coste, e i lavoratori ognuno con un compito ben preciso, dagli ingegneri che costruiscono le ferrovie e i depositi, ai minatori, contadini, allevatori, boscaioli, tutti per portare alla capitale le materie prime necessarie per sviluppare l'economia.
Seconda fase in cui si organizzano i trasporti dei beni, terza fase della produzioni di semilavorati e prodotti finiti e quarta fase delle diplomazia.
Di primo acchito può sembrare complesso, ma una volta presa la mano, si viaggia che è un piacere e l'intrattenimento è superlativo.
Il gioco finisce nel 1915, anno in cui viene decretato il vincitore, oppure prima se tutti gli avversari vengono sconfitti o si viene eletti dai governatori delle province dal Concilio dei Governatori.
C'ho rigiocato in questi mesi e mi tirato dentro ancora ben bene, ciò significa che il gioco c'era, e la giocabilità è ancora eccezionale dopo più di dieci anni dall'uscita.
Ah, il gioco è ormai abandonware, quindi non si paga un euro a scaricarlo.

Intervista a Giuseppe Agnoletti, vincitore della XXIV edizione di USAM

Davide Cassia: complimenti per la vittoria di usam di febbraio 2010, XXIV edizione. Come è nata l'idea di scrivere il racconto vincitore, Le balene di Maath?
Giuseppe Agnoletti: è curioso come le cose si intreccino nella vita. Mi è appena giunta notizia della sua scomparsa, proprio adesso che stavo parlando di lui riguardo alla nascita di questa storia.
Infatti, un po’ di tempo fa, mi interpellò Giovanni Buzi, l’eclettico scrittore, pittore, ecc., che diversi di voi conoscevano. Mi chiese se avevo voglia di scrivere un racconto per un’antologia a “tema” omosessuale. Io non sono un esperto in materia, tuttavia mi dichiarai disponibile e così venne fuori la storia: Le balene di Maath. Una storia di fantascienza che a lui piacque, anche se riteneva il finale forse un po’ troppo frettoloso.
Comunque mi fece poi sapere che della pubblicazione non se ne sarebbe fatto più nulla. E così mandai la mia storia al nasf 4. Fu messa in antologia e solo nell’ usam di febbraio 2010 Baglione scrisse che per poco il racconto non aveva vinto quella manifestazione. Una piccola soddisfazione in più, oltre a quella rappresentata dalla vittoria su usam febbraio 2010..

D: perché secondo te ancora oggi l'omosessualità fa così paura? È solo ignoranza o c'è qualcosa di più?
G: si tratta di un problema vecchio quasi come il mondo. La diversità genera timore, paura. La cultura può essere di supporto per superare certi timori, una mente aperta è meno condizionabile, ma vediamo tanti casi in cui non è sufficiente. Qui ci sarebbe da parlare parecchio, ma non credo sia la sede giusta e del resto io non mi ritengo il relatore più adatto.
Glisso un po’ sull’argomento proprio perché vorrei evitare banalità e stereotipi, davvero non c’è n’è bisogno.

D: partendo dal presupposto che le nostre emozioni siano solo delle reazioni chimiche, pensi sarà veramente possibile in futuro farle provare a un organismo cibernetico?
G
: quando sarà possibile creare cervelli artificiali dotati di miliardi di miliardi di connessioni neurali, credo proprio di sì. Conosciamo tutti quel vecchio raccontino di fantascienza dove, per l’inaugurazione del più potente computer mai costruito, e prima del taglio del nastro, il sindaco (o qualcosa del genere) digita sulla tastiera la domanda: esiste Dio? E la terrificante risposta è: adesso sì.
Tuttavia non credo che la prima necessità di mercato sarà quella di fare provare a un organismo cibernetico le stesse sensazioni degli umani, sono convinto che il primo gradino di sfruttamento commerciale sarà costituito da esseri concepiti allo scopo di dare sfogo alla libido sessuale dell’umanità. Ovvero androidi-schiavi sessuali, insomma l’evoluzione delle vecchie bambole gonfiabili, tanto per intenderci.
Un altro settore di sicuro interesse commerciale sarà rappresentato da badanti, servitori, cuochi e forse insegnanti. C’è un mirabile film, L’uomo bicentenario, che racconta la parabola di un androide “diverso” da tutti gli altri, acquistato come badante dei bambini di casa e che, poco alla volta, riesce a diventare fisicamente umano, e poi infine a morire proprio come un essere umano.

D: si parla anche di balene. Pensi sia ingiusto a priori cacciare determinati animali o che ci siano anche delle ipocrisie di fondo a seconda di religioni, scelte gastronomiche e tradizioni (tipo che noi massacriamo migliaia di bovini e in alcune regioni del mondo sono considerati sacri)?
G: questa domanda mi mette in crisi. A me piace mangiare e sinceramente quando ingurgito un bel petto di pollo, magari alla griglia, non mi chiedo se sia giusto che quel povero volatile abbia dato la sua vita per soddisfare le mie miserabili papille gustative, oltre che a riempire il mio stomaco.
Certo, ci sono ragioni di mercato e di cultura che influiscono in maniera incredibile su queste cose.
Non ricordo bene se sono i cinesi o i giapponesi ad andare pazzi per certe parti della tigre, che così sta scomparendo. Noi inorridiremmo a mangiare un gatto, mentre i cinesi farebbero due occhi come palloni da rugby se ci vedessero centellinare un coniglio alla cacciatora, perché loro lo considerano alla stregua di un animale da compagnia e non certo un gustoso secondo piatto.
Insomma, tutto è relativo, ma in un mondo che procede alla velocità della luce verso la globalizzazione è chiaro che certi nodi vengono al pettine. La mia cultura è diversa dalla tua, ma dobbiamo vivere a contatto nelle nostre città. Da un certo punto di vista siamo ancora in posizione di vantaggio, siamo noi i padroni di casa e deteniamo per la maggior parte i beni di produzione e il potere economico, ma fra qualche generazione le cose si livelleranno; piaccia o non piaccia, diventeremo una società multietnica e multirazziale. Potrebbe essere una incredibile opportunità per ampliare i nostri limiti, ma c’è grande timore su questo argomento, timore che viene sfruttato con metodi che nel passato sappiamo bene a cosa hanno potato, ma sembra che l’uomo non riesca a imparare niente dai propri errori… è davvero così?
Potrei continuare parecchio con altri esempi. Diciamo che alla base di tutto ci dovrebbe essere il buon senso, cosa difficile da gestire quando in ballo ci sono consistenti interessi economici.
Nel mio racconto ho immaginato che i corpi di queste balene, uniche nell’universo, custodissero dentro di sé componenti fortemente afrodisiache. Sono stato cattivo, perché in questo modo ho assicurato loro un’estinzione certa. La mia unica scusante è che tutto questo mi occorreva per la storia.

D: un'altra domanda di spessore: secondo te riusciremo veramente a colonizzare altri pianeti o ci estingueremo su questo?
G: per potere colonizzare altri pianeti occorrerebbe potere raggiungere altri mondi del tutto simili alla buona vecchia Terra, altrimenti sarebbero dolori in termini di costi e di fattibilità. Questo significherebbe avere accesso a velocità di trasporto incommensurabilmente superiori a quelle a nostra disposizione ora.
La domanda è cassata e rimandata di parecchi anni, forse secoli.

D: grazie alla Rete, ai forum, ai blog, stiamo assistendo a un aumento di cultura “fai da te”. Cosa pensi di questo fenomeno?
G
: si tratta di grandi possibilità offerte a portata di mano di chiunque. Ognuno di noi ha dentro di sé qualche cosa di creativo da esprimere, la Rete può oggi permettere a tutti di dire la loro e magari di farsi notare per i contenuti di ciò che dice.
È anche vero il contrario, che ci si può fare notare esprimendosi con cose discutibili, volgari e prive di contenuto, ma la libertà ha il suo prezzo, che poi è il suo rovescio della medaglia. Ed è indiscutibile che la Rete sia sinonimo di libertà, visto che nei regimi dove manca, spesso e volentieri, Internet viene censurato.

D: credi che per uno scrittore sia importante il confronto con altri autori?
G
: importantissimo. Certo, se uno nasce scrittore, eppure da solo è in grado di assimilare in pochissimo tempo le tecniche necessarie per potere comunicare le sue storie a un grande numero di persone, allora ne può fare anche a meno. Ma credo che tutti possono beneficiare
dei vantaggi dati dal confronto con altre persone che fanno la stessa cosa che fai tu, magari molto meglio. E mi riaggancio alla domanda seguente.

D: cosa pensi di Una Storia al Mese?
G: una eccellente palestra che permette di imparare, crescere e potere migliorare i propri elaborati.
Quando si inizia a scrivere quello che subito si avverte è la mancanza di un pubblico competente in grado di dare giudizi spassionati, sinceri e costruttivi. La mamma, la zia, la nonna e la fidanzata non servono a niente in questo caso, sono troppo coinvolte e spesso non ne capiscono abbastanza.
Una Storia al Mese permette di ricevere pareri abbastanza qualificati e diversi fra loro, rispecchiando un’ampia varietà di gusti letterari. In ogni caso si tratta di commenti tecnici, di persone che come te scrivono con la passione di scrivere. Seguendo i loro consigli è facile capire cosa non va nelle proprie storie e cercare di riparare, sempre che, naturalmente, non si abbia scritto una autentica schifezza a cui non c’è modo di porre rimedio.
Un altro vantaggio è rappresentato dalla possibilità di compiere un ottimo lavoro di editing e ridurre la quantità di errori ortografici, di battitura e anche di grammatica che, stai sicuro, puoi leggere cento volte, non riuscirai mai a vedere tutti!
Sono un fedelissimo di usam!

D: hai mai pensato alla scrittura come una professione?
G: realisticamente no. Sono troppo vecchio, troppo pigro; oppure, diciamo con più eleganza, che sono dotato di scarse energie. Ma forse la semplice verità è che non sono bravo a sufficienza e che in circolazione ci sono ben altri talenti rispetto al mio.

Avatar

di James Cameron
Fantascienza
durata 162 min
USA, Gran Bretagna 2009
20th Century


Entriamo in questo mondo alieno attraverso gli occhi di Jake Sully, un ex Marine costretto a vivere sulla sedia a rotelle. Nonostante il suo corpo martoriato, Jake nel profondo è ancora un combattente. E' stato reclutato per viaggiare anni luce sino all'avamposto umano su Pandora, dove alcune società stanno estraendo un raro minerale che è la chiave per risolvere la crisi energetica sulla Terra. Poiché l'atmosfera di Pandora è tossica, è stato creato il Programma Avatar, in cui i "piloti" umani collegano le loro coscienze ad un avatar, un corpo organico controllato a distanza che può sopravvivere nell'atmosfera letale. Questi avatar sono degli ibridi geneticamente sviluppati dal DNA umano unito al DNA dei nativi di Pandora... i Na’vi. Rinato nel suo corpo di Avatar, Jake può camminare nuovamente. Gli viene affidata la missione di infiltrarsi tra i Na'vi che sono diventati l'ostacolo maggiore per l'estrazione del prezioso minerale. Ma una bellissima donna Na'vi, Neytiri, salva la vita a Jake, e questo cambia tutto.

Bello, bravi tutti, effetti speciali fantastici.Ecco, forse un po' troppo ecofilosofico, questo sì.
E che dire della trama, se non un po' troppo scontata? Diciamo che sembra di vedere Pocahontas nel futuro.
Il tema è quello della frontiera, del popolo minacciato da una civiltà tecnologicamente più avanzata che vuole appropriarsi del territorio e delle ricchezze locali. La frontiera è Pandora, pianeta ricco di un minerale pagato fior di milioni sulla terra, il popolo è quello dei Na'vi, gigantoni blu altri tre metri, tutti perizoma e arco-frecce. L'anno è il 2154 e la compagnia mineraria RDA ha sviluppato un programma scientifico denominato Avatar. Praticamente ci si infila in una bara supertecnologica e si entra nel corpo di uno dei giganti bluastri.
E qui parte tutta la trama, dell'ex-marine su sedia a rotelle che si immedesima con il popolo, si innamora di una nativa e aiuta i Na'vi a combattere i terrestri.
Il contrasto che vuole creare Cameron è evidente, e quanto mai borioso e strasfruttato. I Cattivi conquistadores e il popolo nativo cacciato e sterminato senza pietà. Popolo che vive in simbiosi col pianeta, con la natura e che ha sviluppato la sua religione proprio su questo rapporto empatico con le piante e le creature di Pandora. Davvero originale...
I personaggi sono stereotipati anch'essi, con l'antieroe che diventa eroe, la bella principessa che si innamora dell'eroe e il generale cattivo cattivo, disposto a uccidere qualsiasi cosa vivente pur di raggiungere lo scopo.
Allora cos'è Avatar? Effetti speciali, spettacolari. Quelli sì, quelli sono il cuore del film.
Ma, al di là della trama e dei personaggi scontati, il film comunque regge, è divertente, è godibile nonostante tutto. Visto i temi che tratta suscita emozioni, ed è questo sostanzialmente che conta.
Qundi non è malaccio tutto sommato, anche per determinate trovate sceniche e narrative che arricchiscono di un poco la penuria di originalità.
Vale la pena guardarlo, per la bellezza della fotografia e degli effetti, perché comunque è un buon film, tutto sommato. Non mi sento di bocciarlo, come non mi sento di lodarlo.
Al cinema probabilmente valeva la pena guardarlo per gli effetti e il 3D, a casa per passare una piacevole serata. E magari sì, riflettere su temi che paion scontati, ma che non lo sono mai abbastanza.
GIUDIZIO: 3 su 5

Magic Carpet & Magic Carpet 2

Sì, è un periodo che mi sto dedicando ai vecchi giochi. Forse perché mi sono un po' stancato di quelli usciti recentemente, forse perché non c'è nulla che mi stimoli in questo momento, e anche perché aspetto dei titoli che usciranno in autunno e quindi...
Magic Carpet e il successivo capitolo Magic Carpet 2, sono titoli che ti rimangono nella memoria, sia per l'atmosfera, l'ambientazione che la giocabilità. Erano figosi anche gli effetti sonori.
Uscito nel 1994 e il capitolo successivo nel 1995. Ideato da Peter Molyneux, geniaccio che ha sfornato giochi come Dungeon Keeper, Populous, Theme Park e Black & White, è stato per certi aspetti rivoluzionario.
Come dice il titolo stesso, si cavalca un tappeto volante e si sparano magie, si vola su paesaggi pixelosi discretamente abbozzati e si distruggono mostri di vario genere e altri maghi tappetomuniti.
Ogni volta che si uccide una bestia, codesta rilascia mana, delle palle dorate di varie dimensioni che bisogna fare proprie se si vuole aumentare il proprio potere e costruire il centro di raccolta del mana: il castello!
Il castello è fichissimo, difeso da arcieri (dal 3 livello in poi) e dotato di palloni raccogli-mana.
Nel primo capitolo forse la cosa che a lungo andare un po' stancava erano i livelli un po' ripetitivi, mentre in Magic Carpet 2: The Netherworlds sono stati aggiunte nuove magie, nuovi mostri e livelli notturni e sotterranai, rendendo il titolo sicuramente migliore.
In effetti è meglio giocare il secondo capitolo, e poi, per curiosità giocare il primo.
Mi sono divertito molto in passato e mi sono divertito anche ora, a svolazzare per livelli un po' sgrausi (ma all'epoca evocativi) e lanciare palle di fuoco a bruchi incendiari e draghi che sembran bruchi. Ma la cosa più figosa rimane il castello, da costruire e ampliare in posti anche impensabili.
Ah, tutt'e due i titoli sono abandonware, e giocabili in dos, con emulatore.

Ciao ciao Mondiali

Mi ero ripromesso di non parlarne. Non ne parlo, cazzo, non ne parlo.
Ne parlo...
Una grande tristezza, e amarezza. Soprattutto perché io ci credevo, c'ho creduto fin dal fischio di inizio, e fino agli ultimi minuti del secondo tempo. Me tapino.
Mi ero fatto delle illusioni. Ho difeso spesso le scelte di Lippi, giustificando anche le prestazioni dubbie delle prime due partite. Pensavo che quel che diceva una certa parte della stampa di settore non fosse vero e che fossero solo malignità, le solite che si tirano in ballo all'inizio di un Mondiale.
Invece, ahimè, avevano ragione.
Un Italia così scandalosa io non l'ho mai vista. Sembravamo noi la Nuova Zelanda, che, ricordiamolo, è arrivata prima di noi nel girone.
Giocatori molli, spaesati, stanchi, col fiatone. Gli Slovacchi parevano gli Invincibili. Un primo tempo inguardabile, che manco all'oratorio si giocava così. Il mondiale dell'Italia non si può ridurre all'ultimo quarto d'ora della terza partita, in cui comunque abbiamo preso un gol che nemmeno le difese di 3a categoria.
Certo, è facile criticare adesso, dopo la disfatta. Ed è forse solo un caso che quel Quagliarella che ha messo dentro alla fine abbia creato più occasioni da gol di quante ne avevamo create fino a quel momento.
Una squadra come la nostra non può essere così dipendente da un giocatore come Pirlo. Cazzarola, entrato lui la squadra per un attimo è ridiventata Italia. Lui prende la palla, e pam, magicamente si creano le occasioni.
Facile poi rimbalzarsi le colpe di un mondiale, diciamolo, scandaloso. Ripeto: scandaloso.
E poi, maledetti, avesse perso 3-0 al 20° del secondo tempo uno si rassegna, spegne la televisione, va a fare la spesa o innaffia le piante. E invece no, i coglioni che non hai tirato fuori per 2 partite e mezza, me li tiri fuori all'ultimo, e ci fai sperare.
Maledetti. Che sofferenza.
Ora chi tifo? Giappone? Stati Uniti?
Il mondiale probabilmente lo vince una sudamericana. Brasile, Argentina, ma attenti all'Uruguay.
Per quanto riguarda l'Italia: buona fortuna mister Prandelli. Dal fondo è più facile risalire, spazzolandosi i pezzi di merda rimasti impigliati alla maglia azzurra.

Rumo e i prodigi nell'oscurità - Walter Moers

Titolo: Rumo e i prodigi nell'oscurità
Autore: Walter Moers
Anno: 2007, 714 pag.
Editore: TEA
Dove si trovano la grande avventura, eroi veri e autentici prodigi? Solo a Zamonia, immenso continente della fantasia, popolato da satanici ciclopi delle diavorocce vaganti e dai tenebroni dai molti cervelli, dai malvagi cittadini dell'oscura e metifica Tartaro ai minuscoli inesistenti. Qui un piccolo croccomauro è destinato a diventare un eroe...
Cosa dire di questo libro?
Tanta roba. Una gioiosa confusione, una fantasia talmente esuberante a volte da sforare e debordare.
Moers è così, prendere o lasciare. Devi entrare nell'ottica che iniziando un capitolo probabilmente ti troverai a leggere qualcosa che non ti aspettavi, tipo un cannolo alla crema che parla in aramaico.
Questo modo di scrivere può frastornare il lettore, spaventarlo e far chiudere il libro. È una scelta, grazie a dio come lettori possiamo farlo. Chiudendo però questo se ne perde uno buono.
Ammetto di aver fatto fatica a ingranare, l'inizio non mi ha stimolato, a volte mi sembrava proprio che l'autore avesse scritto cose a caso, con l'ispirazione del momento. Certi passaggi forse un po' confusi, un po' troppo carichi di particolari, e, apparentemente, non allineati con la coerenza della trama.
Parlare di coerenza, in un libro di Moers, forse non è pertinente, certo è che, rispetto ad altri romanzi di questo autore, ho trovato più sfilacciata la trama, diluita in decine di sottotrame sottotono rispetto alla struttura principale.
La caratterizzazione dei personaggi è un altro dei punti forti di questo scrittore. Certo forse è più semplice creare personaggi di fantasia, o forse no, forse è il compito più arduo, perché quelli reali si possono dipingere con bagagli che già conosciamo, mentre quelli di fantasia devono avere tratti particolari, eccentrici.
Rispetto ad altri titoli di questo autore, Rumo non mi ha entusiasmato, o meglio, l'ha fatto ma in tono minore. Rimane comunque una grande prova, un'esperienza positiva, un viaggio nella fantasia, che ognuno di noi si deve concedere.
GIUDIZIO: 3 su 5

Usam Giugno: Classifica Finale

Dopo lunga e traboccante riunione fra i giudici, condita da duelli a colpi di cannolo e pasta fredda, ecco la classifica finale:

1 - La Malattia di Attilio Facchini
2 - PFC di Raffaele Serafini
3 - Confessioni di Stefano Pastor
4 - Pater Peccatorum di G. Vanderban
5 - Valneve di Marco Caudullo

Complimenti ad Attilio per la seconda vittoria, grazie a tutti per aver partecipato. Vi aspetto tutti nella calda (si spera) edizione di Luglio.

Detroit

Chi non ha mai sognato di aprire una fabbrichetta di automobili, magari in quel di Torino e fare un culo così alla FIAT?
Tutti, no? Soprattutto in questi giorni di agitazioni sindacale...
Ebbene, con questo giocone del 1984 uscito per Amiga e in dos, si parte dal 1908, fondando una casa automobilistica. Il primo modello è già in canna, ma possiamo crearne di nuovi e buttarli sul mercato.
Si fonda l'azienda in uno dei settori del mondo, si assumono gli operai e via! C'è la gestione della produzione, della ricerca, dello sviluppo, la parte finanziaria e di marketing.
La simulazione è pressoché completa, anche se il modello economico è abbastanza semplificato e non ha imprevisti di sorta, come, tipo, ehm, una crisi...
Divertente aprire fabbriche in tutto il mondo, e punti vendita anche in Cina (nel 1908!) e vendere furgoni, pick up, auto sportive e berline. Ah, non si è da soli, ci saranno altri 3 competitor che cercheranno di farvi il culo. Peccato non ci sia anche una parte con le azioni, tipo Railroad Tycoon, in cui poter interagire in borsa e magari acquisire gli altri marchi.
La simulazione dura ben 100 anni, ma io sono riuscito a giocarne una ventina, perché a lungo andare diventa troppo ripetitivo.
Fico comunque emulare l'Avvocato, o la Ford di quegli anni. Fico disegnare le auto con i modelli a disposizioni e le parti nuove sviluppate dall'area progetti.
Per il resto, come ho già accennato, alla lunga diventa ripetitivo, anche se i primi anni sono veramente divertenti, per tutto il contesto e per quel che c'è da gestire, poi dopo sa di già visto.
Visto comunque che è un abandonware, non costa nulla farci un paio di partite.
Occhio che per costruire il Porsche Cayenne dovrete aspettare qualche anno.

Il Papa (9)

Pedrazzi rimane a bocca aperta per due minuti netti. Poi quando sente la lingua raffreddarsi, richiude le fauci, si stropiccia gli occhi e cammina verso il punto dove sono scomparsi.
Non c’è nessuna traccia del loro passaggio, a parte un’impronta di scarpa nella sporcizia del luogo. Nessun odore di zolfo, azoto o polvere magica, solo quello pungente della spazzatura. Nessun residuo di materia astrale, niente di niente.
Sono semplicemente andati via, proprio come avevano detto. Se è un gioco di prestigio, è riuscito maledettamente bene. Smuove un po’ i sacchi della spazzatura, facendo scappare qualche ratto, in cerca di una botola o qualcosa di simile, ma non trova nulla.
Deve realmente credere a tutto quello che gli hanno raccontato? Pare proprio di sì. Forse è impazzito, o forse no. Perché deve escludere a priori che esistano forme di vita extraterrestre?
Esce dal deposito. Il rettangolo di cielo che si scorge nel vicolo è terso, nemmeno una nuvola turba il suo azzurro lucido. Pedrazzi s’incammina sconsolato verso la sua Camaro. È ancora là, in sosta vietata. L’attenzione della polizia municipale giunta sul posto è tutta per la Ford fiesta contro il palo della luce.
Pedrazzi non li degna nemmeno di uno sguardo. Attraversa la strada in stato di trance e le auto lo schivano come un birillo. Miracolosamente raggiunge la chevy, apre lo sportello e si accomoda.
La radio sta rumoreggiando. Non ricorda di averla accesa. Ironia della sorte, sta suonando Figli delle Stelle di Alan Sorrenti.
Pedrazzi scuote la testa, avvia il motore e veleggia verso casa.

40 anni

Oggi compio 40 anni.
Auguri! Grazie, grazie.
È quell'età dove tutti ti dicono che bisogna tirare le somme, che ti guardi indietro e devi capire cos'hai combinato nella vita e che è giunta l'ora di mettere la testa a posto.
Non ci penso quasi mai, ma qualche giorno fa, mentre stavo guidando, a una rotonda, tra l'altro, l'entità e la portata del numero quaranta mi è caduta addosso come un macigno... e mi sono scansato.
Una volta, parlo forse di un ventennio fa, quaranta significava entrare nella mezz'età. Oggi credo che l'ago della bilancia si sia spostato verso i cinquanta.
Lo dico perché mi fa comodo, certo, ma in parte è vero. Io mi sento più maturo, sì, un pochino, dai, ma non mi sento addosso quarant'anni (e, a quanto mi dicono gli altri, nemmeno li dimostro)
Forse perché ho sempre seguito una mia filosofia di vita, cioè quella di mantenere vivo il cervello: leggendo, scrivendo, giocando.
Raggiunti certi traguardi non bisogna smettere di sognare. Lo ripeterò fino alla noia, bisogna nutrire sempre e comunque il fanciullino, questo a prescindere dalle responsabilità e dalle scelte di vita che si sono fatte.
Comunque ricordo che quando avevo 20 anni pensando ai 40 mi immaginavo sposato con un paio di pargoli e un lavoro sicuro.
Non sono tanto distante dall'obbiettivo :)
Di sicuro non esiste nulla, nemmeno il sole (e vai di retorica!).
40 in realtà è solo un valore numerico a cui diamo significato di spartiacque. In realtà determinati pensieri mi avevano sfiorato anche ai 39, ai 38, ecc, ecc.
40 è solo un numero :P

Le Stelle (8)

La donna si accorge immediatamente di essere inseguita. Pedrazzi non capisce come, visto che ha cercato di mantenersi ad una distanza di sicurezza come ha visto fare da Starsky e Hutch un milione di volte. Ovviamente lui non è un poliziotto, è solo un medico del policlinico e forse la donna conosceva già la sua auto. Non sa dare una spiegazione nemmeno a questo, ma ha come questa sensazione.
La Ford fiesta accelera, brucia un semaforo e Pedrazzi, per starle dietro, effettua una manovra assassina con la quale per un pelo non affonda nella fiancata di un bus da turismo. La Chevy è pesante, ma ha sicuramente più cavalli della utilitaria. Il problema è che la sua auto è un barcone mentre la piccola ford è agile e scattante.
Pedrazzi però non si perde d’animo, spinge al massimo i pistoni e cerca di riguadagnare terreno. La bionda non è scema: si intrufola in un vicolo a manetta, vicolo dove lui probabilmente non riuscirà a infilarsi.
La prende larga, fa sbandare un paio d’auto e riesce a centrare in modo perfetto il vicolo. Lo specchietto lato passeggero esplode in una miriade di cristalli luminescenti. Pedrazzi impreca ma non molla la presa. La ford non è lontana: è stata rallentata da un bidone della spazzatura, esploso in mille corpuscoli di pattume. Il bidone sta rotolando tipo roulette in mezzo al vicolo. Il paraurti in acciaio della Camaro lo proietta in alto e lo fa ricadere lontano, quasi in mezzo alla via affollata da cui sono arrivati.
La Ford piomba in mezzo ad un'altra via affollata, sperona un’altra utilitaria, cerca di evitare l’impatto con una moto e innesca un ingestibile effetto pendolo. La sua corsa finisce contro un palo della luce. Il cofano si accartoccia e dal radiatore sbuffa una nube di vapore.
Pedrazzi rallenta per non colpire l’utilitaria speronata dai due fuggitivi, accosta sul marciapiede e abbandona l’auto.
I due sono già scesi dalla Fiesta, lui sembra un po’ intontito mentre lei zoppica leggermente. La bionda prende per mano l’uomo che indossa un enorme cappello a falde larghe e un impermeabile beige. Fuggono verso il vicolo speculare a quello dove sono esplosi in mezzo alla via affollata.
Pedrazzi li insegue, rischiando più e più volte di farsi inverstire da altri veicoli indifferenti al sinistro appena avvenuto. Li vede scappare lungo il vicolo, l’uomo inciampa e rallenta la loro fuga. Il dottore aumenta i giri nonostante il cuore protesti, ma l’adrenalina lo aiuta a mantenere un ritmo di falcata sufficientemente veloce.
Pedrazzi è nel vicolo, i due sono quasi alla fine, ma, come la maggior parte dei vicoli nelle storie, anche questo è cieco. I due forse non se ne erano resi conto quando sono fuggiti da questa parte. Si fermano davanti al muro sotto cui fanno bella mostra dei sacchetti della spazzatura squarciati; sul muro una scritta cubitale: la moda cambia, lo stile resta.
Non si voltano e si buttano in una porta laterale, ovviamente aperta.
“Ehi!” grida Pedrazzi per fermarli, ma quelli non si fermano.
In ventidue secondi il dottore è sulla porta che ancora sfarfalla per il passaggio dei due fuggitivi. Sente giungere dei lamenti oltre la soglia, come se qualcuno stesse piangendo. Varca il limite ed entra in una stanza in penombra. Quello che ode però oltre la porta non sono suoni di disperazione, ma risate, grasse risate.
È perplesso: distesti su altri sacchi della spazzatura ci sono i due fuggitivi che se la ridono a crepapelle. La stanza non ha altre vie di fuga, solo quella da cui sono entrati.
Pedrazzi non riesce a muovere un muscolo: è completamente spiazzato dalla situazione. I due completano il loro ciclo di ilarità e puntano l’attenzione sul dottore.
“Ci scusi,” mormora la donna sopprimendo un altro impeto goliardico. “È che la situazione ci è sembrata troppo divertente. Non siamo proprio bravi nella parte dei fuggiaschi.”
Il medico non comprende quale sia il lato ironico della situazione, ma si adegua.
“Chi siete?”
“Non credo le piacerebbe saperlo,” risponde l’uomo con un tono di voce baritonale; cadendo sulla spazzatura gli è cascato il cappello rivelando le bende sul cranio rasato.
“Lei dovrebbe essere sotto osservazione in un ospedale in questo momento.”
“Sto bene, non si preoccupi per me.”
“Immagino che ci segua perché ha molte domande a cui sottoporci,” interviene la donna.
Pedrazzi annuisce.
“Comunque il mio nome è Nina e lui è Anettore. Abbiamo deciso di rispodere alle sue domande, tanto non le crederebbe nessuno.”
“Che significa? È perché di punto in bianco volete rispondere alle mie domande?”
“Non possiamo rispondere a tutto, il nostro permesso sta scadendo, mancano pochi minuti.”
Pedrazzi ha duecento domande che gli frullano per la mente.
“Cosa hai iniettato a lui?” domanda indicando Anettore.
“Non credo che capirebbe, anche se è un medico, diciamo che si tratta di un composto a base di cellule staminali e microrganismi costruttori e riparatori.”
Pedrazzi ride. “Mi prendete in giro, vero? Non esiste attualmente una tecnologia in grado di farlo.”
“Esatto,” continua Anettore. “Forse solo un abbozzo di teoria nanotecnologica. Non esiste sul vostro pianeta è la risposta esatta. Noi siamo extraterrestri, come dite voi, mister Pedrazzi, e siamo turisti, abbiamo passato un mese terrestre sul vostro pianeta.”
“In vacanza, quindi?”
Pedrazzi è sarcastico, crede che questi due siano dei folli, anche se ancora non sa spiegarsi la guarigione miracolosa, non può certo accettare che siano degli alieni.
“Capisco il suo sarcasmo, sarei anch’io scettico,” continua Anettore, “ma, mi creda, è così. Se ne renderà conto quando fra cinque minuti esatti spariremo davanti ai suoi occhi.”
“Va bene, diciamo pure che in via ipotetica io possa prendere in considerazione il fatto che siate degli alieni, avete addosso una tuta da umano? Da che pianeta provenite?”
Anettore sorride e anche Nina. È lei ha rispondere: “No, ci dispiace deluderla, non esistono forme di vita diverse, esiste solo il genotipo umano, in tutto l’universo conosciuto. Non siamo venuti ancora in contatto con forme di vita che non abbiano aspetto umano. In quanto alla provenienza, bè, io sono nativa di un pianeta che nella vostra lingua risulterebbe come Numinio Quadrato mentre Anettore è nativo di Sola Bianca, ma tutte e due abbiamo la residenza stellare su Pongo Ormone.”
Pedrazzi sfarfalla le palbebre un paio di volte, la follia di questi due ha costruito castelli dalla stanze veramente complesse.
“Quel composto… rivoluzionerebbe il campo medico…”
Stavolta è Anettore a parlare: “Sì, ma come nel vostro telefilm Star Trek, esiste un protocollo universale per non interferire con le civiltà tecnologicamente arretrate, sconvolgerebbe il vostro pianeta, arrivando addirittura ad una guerra totale. La vostra galassia non può essere influenzata da nessun intervento esterno. Noi abbiamo già rischiato molto usandolo per guarirmi, e verremo sicuramente multati.”
“La nostra galassia? Perché voi da dove arrivate?”
“Da un quadrante distante diversi milioni di anni luce.”
“E come fate a viaggiare più veloce della luce?”
“In realtà non viaggiamo, non abbiamo astronavi, solo le civiltà più arretrate come la vostra cercano di sfidare fisicamente lo spazio. Ma è troppo rischioso ed effettivamente è praticamente impossibile raggiungere destinazioni lontane diversi anni luce. Noi semplicemente saltiamo nell’esatto punto di destinazione. Il concetto è un po’ quello dello stargate, solo che i ricettori di trasmissione sono portatili e ogni punto di destinazione ha, per così dire, un’antenna, impiantata millenni fa dai nostri scout.”
Pedrazzi è sempre più convinto che siano due lucidi pazzi.
“Allora portatemi con voi,” dice come guanto di sfida. “Voglio vedere altri mondi, viaggiare per l’universo.”
Nina scuote la testa. “Non è possibile, ci è proibito dal protocollo, non avremmo nemmeno dovuto parlare con un terrestre, ma volevamo soddisfare la tua curiosità. Inoltre la tua mente non è pronta, impazziresti, avete davanti ancora un paio di millenni prima di raggiungere la tecnologia attuale della federazione stellare. Come ho ribadito prima, nessuno ti crederà e poi abbiamo degli infiltrati silenti in ogni organo di comunicazione che screditerebbero ogni tuo tentativo.”
“Già, per averti parlato, ci beccheremo un’altra multa. Pazienza, non potremo viaggiare per qualche tempo.”
“Quanti di voi sono qui sulla terra adesso?”
Risponde Anettore: “In questo momento? Qualche migliaio, più che altro in luoghi di interesse storico-turistico.”
“Perché avete scelto questo pianeta?”
“Perché è uno tra i più belli della vostra galassia e poi perché volevo provare una di quelle vostre auto sportive superveloci. Non ne esistono in tutto l’universo. Altre civiltà hanno sviluppato mezzi di locomozione simili, ma non come le vostre auto italiane. Evidentemente però non è mi è andata troppo bene, visti i risultati.”
Ride Anettore e sembra quasi celiare, poi guarda l’orologio che ha al polso e smette di ridere.
“Mancano pochi secondi, dottore. Le auguro una lunga vita, probabilmente non ci rivedremo mai.”
“Addio,” mormora Nina e fa ciao ciao con la mano.
Due secondi e spariscono.

La Clessidra d'Avorio a Settembre

Salisburgo, 1592.
Nella penombra del laboratorio di un alchimista, si sta svolgendo una partita a scacchi tra il padrone di casa e un giovane italiano. Il giovane ha viaggiato molto e desidera porre a maestro alcuni quesiti e confrontare le proprie conoscenze sulla natura. Ancora non immagina il segreto che il vecchio, al termine dell’incontro, gli vorrà svelare.

Francia, 1808.
Darius Berthier de Lasalle, un nobile sopravvissuto al periodo del Terrore , e il suo amico di infanzia Moran de la Fuente, avventuriero di origini spagnole e amante della bella vita, partono per l’Italia, più precisamente per la città di Bologna, con l’intento di recuperare un diario scritto da un alchimista nel 1600 e un fantomatico oggetto prezioso a esso legato.

Bologna, giorni nostri.
Giacomo Bandini trova un pacco con il nome di suo padre, docente di storiamoderna appena defunto. All’interno, tra libri e appunti provenienti dagli uffici dell’università, scova un diario risalente al diciassettesimo secolo e scritto da un suo omonimo. Il ragazzo inizia la lettura e comprende che il suo antenato era un alchimista alla ricerca di una misteriosa clessidra, unico oggetto in grado di misurare i tempi di lavoro per il compimento della Grande Opera alchemica.


Sono lieto di annunciare che dopo l'estate, ai primi di Settembre, uscirà un mio nuovo romanzo dal titolo La Clessidra d'Avorio, pubblicato da Edizioni XII.
Non l'ho scritto da solo ma con il mio compare e amico Stefano Sampietro, a cui è venuta l'idea malsana di chiedermi, nel lontanto 2004, di scrivere qualcosa assieme (o sono stato io a chiederglielo? Non ricordo)
Comunque ci siamo, la data di pubblicazione è vicina, fremete nell'attesa e mettete da parte i soldini per comprarlo :)

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USAM Giugno: I Finalisti!

Dopo lunga e travagliata discussione e una battaglia di bomboloni alla crema, ecco la scelta dei giurati sopravvissuti:

- Confessioni di Stefano Pastor
- La Malattia di Attilio Facchini
- Pater Peccatorum di G. Vanderban
- PFC di Raffaele Serafini
- Valneve di Marco Caudullo

Complimenti ai 5 finalisti, e grazie a tutti i partecipanti.

Il Vaticano contro Saramago

È morto ieri a 87 anni Josè Saramago, scrittore portoghese, premio nobel e il Vaticano non ha perso tempo e oggi sull'Osservatore Romano è uscito un articolo che lo definisce "un uomo e un intellettuale di nessuna ammissione metafisica, fino all'ultimo inchiodato in una sua pervicace fiducia nel materialismo storico, alias marxismo".
A parte il cattivo gusto di scagliarsi contro un uomo deceduto da poco, di cui si dovrebbe soltanto piangere la scomparsa, o perlomeno chiudersi in un rispettoso silenzio.
In un altro passaggio l'articolo dice "si dichiarava insonne al solo pensiero delle crociate, o dell'inquisizione, dimenticando il ricordo dei gulag, delle 'purghe'".
Una macchia non ne cancella un'altra, sicuramente lui era paladino della sua ideologia e si era schierato, così com'è schierato il Vaticano, ma il denunciare la mancata denuncia (scusate il gioco di parole), non cancella i demeriti di un istituzione che dovrebbe seguire dettami di bontà e verità, che in passato e ancora oggi dimentica per perseguire i propri interessi.
Un'istituzione che vuole essere un esempio di moralità in questi giorni dovrebbe tacere per tutti gli scandali che l'hanno investita, oggi e in passato. Il Vaticano non è più il centro della fede, ma il centro di interessi economici, militari e politici.
Si è dimostrata ancora una volta arrogante, stizzita, saccente, boriosa, perdendo l'occasione di starsene zitta e non fare brutta figura. Io personalmente sono stufo di avere questo peso in Italia, un paese castrato non solo dalle mafie e da una classe politica inesistente, ma anche da questa fantomatica istituzione religiosa che tutto fa tranne quello per cui è stata fondata.
Sulla morte di un uomo, anche se nemico, la Chiesa si dimentica uno dei pilastri portanti della sua Verità: la pietà.

Master of Orion 2: Battle at Antares

Parlo della versione 2 Battle at Antares, perché le altre non le ho mai giocate. Master of Orion è un altro di quei titoli a cui ho giocato fino alla morte. Uno dei motivi in cui mi sono ammazzato su i games già citati come Civilization e Railroad Tycoon, è sicuramente la loro componente di customizzazione di mappe e scenari, ogni volta diversa. Carratteristica che ne aumenta la longevità a dismisura.
Per chi non conoscesse MoO2 è un strategico a turni di ambientazione spaziale uscito nel 1996 per PC e scritto da Steve Barcia e Ken Burd.
In una galassia ogni volta diversa, si prendono in mano le redini di una razza aliena (anche se gli umani ci sono) cercando di conquistare tutti i sistemi presenti e sconfiggere le altre razze.
In mezzo ci stanno tante altre belle cose, come i rapporti diplomatici, lo sviluppo dei pianeti, la ricerca di nuove tecnologica, le battaglie spaziali, la costruzione delle astronavi da battaglia.
Oltre alla creazione random delle galassie, in Moo2 la longevità è assicurata anche dalla possibilità di customizzare completamente la razza con cui giocare, creandone di fatto una da zero. Anche l'assemblaggio delle astronavi è custom e determina, nella maggior parte dei casi, la vittoria o la sconfitta in battaglia.
Ogni tanto irrompono (e rompono) gli Orions, mitica razza superavanzata tecnologicamente che più avanti potremmo sconfiggere, raggiungendo la vittoria senza dover per forza dominare la galassia.
Nel 2003 è uscito il terzo capitolo, Master of Orion 3, un flop, per diversi motivi. Sicuramente la complessità rispetto al titolo precedente, la troppa automazione di determinati meccanismi, la curva di apprendimento che ha scoraggiato la maggior parte dei giocatori, ma non il sottoscritto, ovviamente. Io ho trovato del buono anche in MoO3, passando ore liete, anche notturne.
Comunque come il 2 non ce n'è, giocone stellare in tutti i sensi, con una giocabilità e longevità pazzesca. Inutile ripetervi come la penso sui giochi tutta grafica e niente profondità, quindi mollo il colpo.
E non prentevela con me se lo provate e vi calano le diottrie a giocare in finestra.

Le Stelle (7)

Erminio Maestro, il padrone del pub ‘La Mostarda Parlante, lo accoglie con il suo solito sorriso gioviale. Sotto i baffoni grigi nasconde sempre un po’ di coriacea simpatia per tutti e dispensa, oltre alla birra che scorre a fiumi, anche perle di saggezza sulla vita.
Erminio non ama solo parlare e spillare birra, ha sempre avuto il fiuto per gli affari ed ha inventato di sana pianta diversi cocktail che vanno per la maggiore tra i giovani. Sembra quasi che si diverta a mischiare in modo casuale vari elementi per vedere cosa salta fuori.
Mostarda Parlante deriva appunto da questo, da un cocktail di sua invenzione, in cui uno degli ingredienti è la mostarda, e una volta degustata l’avventore non può far altro che cominciare a parlare.
“Come va, Savio?” gli domanda non appena il dottore si siede su un alto sgabello di fronte al bancone – Erminio gli ha già preparato un bel boccale da mezzo litro di birra che spumeggia davanti ai suoi occhi. Pedrazzi prima di rispondere tira una bella boccata e sospira, come se quel liquido fosse esso stesso fonte di vita e piacere.
“Bene,” mormora il dottore assaporando il momento: il retrogusto amaro sul palato, la fresca sensazione lungo l’esofago e il piacere del dolce intorpidimento che presto avrà la meglio sul cervello.
“Non mi sembri molto convinto. È successo qualcosa all’ospedale?”
Nonostante siano le prime ore della mattina, il locale è comunque discretamente affollato. Pedrazzi osserva per alcuni secondi la gente, tra cui anche una bionda in shorts mozzafiato, e poi torna a guardare l’oste. Indossa come al solito una maglietta bianca con il logo del locale sui possenti pettorali. Erminio ha avambracci da lottatore e un collo che non ha nulla da invidiare a quello di Mike Tyson, è alto quasi due metri e assomiglia vagamente a Hulk Hogan, wrestler famoso negli anni ’80.
Il dottore allora gli racconta tutto: Erminio è anche una specie di muro del pianto, un confessore, lo psicanalista, perché il gigante buono sa ascoltare e sa dare buoni consigli.
L’oste lo lascia parlare, sente che ha bisogno di sfogarsi, non lo interrompe mai, perché sa che è di quello di cui il dottore ha bisogno.
“Non riesci ad accettare il fatto che la donna possa avere iniettato un liquido miracoloso nelle vene del paziente, giusto?”
L’osservazione è acuta come al solito.
“No, non riesco ad accettarlo. Nel sangue non c’era nulla, a parte i leucociti al doppio del normale, e allora volevo tornare per prelevare dell’urina dalla sacca, ma quello se n’era già andato. Mi domando come.”
“Sulle sue gambe, immagino.”
“Sì, chiaro, quell’idiota della guardia l’ha visto uscire e nemmeno gli è passato per l’anticamera del cervello di fermarlo.”
Erminio se la ride. Ha una risata grassa, coinvolgente e anche Pedrazzi non può fare a meno di sorridere.
“Allora come spieghi questa guarigione miracolosa?” domanda l’oste spillando una bionda.
“Non me la spiego, secondo logica è evidente che il liquido iniettato dalla donna ha sortito un effetto benefico, ma, in questo caso, sarebbe un farmaco che rivoluzionerebbe la storia della medicina e forse non ci sarebbe nemmeno più bisogno di noi medici.”
“O forse i tuoi chirurghi hanno valutato male le condizioni reali del paziente.”
“Anche se fosse, quell’uomo non poteva alzarsi e sparire come Lazzaro dopo tutte quelle ore di sala operatoria.”
“È possibile per un paziente in quelle condizioni alzarsi e scappare da un ospedale se gli è stato iniettato nel sangue un potente stimolante?”
Pedrazzi scuote la testa e abbassa gli occhi sulla schiuma della sua birra che lentamente sta scemando.
“No, non con tutte quelle ferite e quelle fratture, perché ti assicuro che aveva fratture multiple in tutto il corpo e poi l’avrei notato nel sangue. Quindi è una cosa inspiegabile e nessuno sarà in grado di spiegare alla polizia quello che è successo.”
“Questo ti preoccupa?”
“No, non me può fregare di meno, ma rimane comunque il fatto che non saprò mai quel che è accaduto veramente.”
“Mai dire mai,” dice Erminio con un sorriso enigmatico, spilla un’altra birra e poi da retta ad un altro cliente.
Nel locale aleggiano diversi profumi, l’aroma forte dello stufato che da sempre viene servito a tutte le ore del giorno, la fragranza melliflua e fruttata del corpo di una donna lì vicino e quello del tabacco, di sottofondo, che è rimasto comunque impregnato nelle pareti nonostante siano diversi anni che non si fuma più li dentro.
Il dottore scola la sua birra. Rimane a rimirare per quasi dieci minuti attraverso il vetro del boccale le strane forme degli attori che si muovono come in un mondo privo delle regole dove ora lui soggiorna.
Quando ormai fuori il giorno ha vinto la sua battaglia millenaria con la notte, si alza dal bancone, paga ed esce.
La vecchia Chevrolet che ha comprato su ebay e lì ad attenderlo, come una fedele compagna. Sta infilando la chiave nello sportello, quando il caso o il destino, a seconda delle diverse fedi, gli fa passare davanti agli occhi l’occasione per sbrogliare la matassa del mistero che gli tormenta la mente e il cuore.
Davanti al locale sfila una Ford fiesta marrone con alla guida la donna bionda di quella notte e al suo fianco un uomo. Pedrazzi non lo riconosce, ma sa per certo che è il paziente appena fuggito dall’ospedale.
Non perde tempo, apre lo sportello, avvia il motore e si lancia all’inseguimento.

Imago Mortis

di Stefano Bessoni
Italia, Spagna, Irlanda 2008.
Genere: horror
Nel 1600, ancor prima dell'invenzione della fotografia, lo scienziato Girolamo Fumagalli viveva come un'ossessione il voler a tutti i costi catturare immagini. Dopo specifici studi provò a prelevare la retina di una persona assassinata, convinto che in essa fosse immortalata l'ultima immagine vista dal soggetto. Questa tecnica fu chiamata tanatografia e Fumagalli si macchiò di numerosi crimini per ampliare i suoi studi, prima di essere catturato e condannato a morte.
Ai giorni nostri, presso la scuola internazionale di cinema, il timido studente e aspirante regista Bruno, spossato dagli studi e da una tragedia che ha colpito la sua famiglia, inizia ad avere strane visioni che lo portano a distorcere la realtà attorno a sè. Protagonista delle sue visioni è un ragazzo insanguinato che pare voglia aiutarlo a scoprire qualcosa. Con l'aiuto dell'amica Arianna, Bruno farà delle sconcertanti e sanguinose scoperte all'interno dell'istituto.
Una sola frase mi viene in mente: "Io vedo le persone morte."
Solo che non appartiene a Imago Mortis, ma a Il Sesto Senso, dove lì aveva più senso, e scusate il gioco-gioco di parole. In più questa frase viene pure citata nel film, pensa te.
Mi ha fatto ridere molto quando il protagonista, parlando con la co-protagonista, le dice: "Io non ho nessun problema," in riferimento al fatto appunto che vedeva uno che era morto da un po'. Dico, vedi le persone morte, qualche problemuccio devi pur averlo, se non sei Melinda Gordon che, diciamocelo, ha una presenza scenica ben diversa.
A parte tutto questo girare intorno e scrivere una non-recensione, alcuni spunti coreografici e di fotografia non mi sono dispiaciuti, tenendo conto che è una produzione ispanico-italiana, di cui, purtroppo e a volte a ragione, un po' si diffida.
I personaggi sono un po' stereotipati, il pazzo che è pazzo, quello disturbato, la tipa che non te la molla tutta sorrisi e dopo che ci limoni si scopa subito. Le caratterizzazioni sono un po' deboli, è più carismatico Basettoni o Macchia Nera.
L'atmosfera è gotica, dark, pure troppo e piove sempre, ma non è Il Corvo.
La trama è lenta, sfilacciata, fa venire il latte alle ginocchia. Certe trovate sceniche sono prese a piene mani dai primi film di Dario Argento, altre veramente scontate, alcune particolari che un po' di strizza la mettono, ma è veramente poco.
Insomma nell'insieme un guazzabuglio di film. Se siete appassionati del genere, magari può anche non dispiacervi, se cercate qualcosa per passare la serata, scegliete magari qualcosa d'altro.
GIUDIZIO: 2 su 5

Le Stelle (6)

È così, porca la miseriaccia. È sparito, scomparso, volatilizzato. Proprio come la sua amica iniettatrice maledetta.
Le infermiere, mezze addormentate, non si sono accorte nell’immediato che i parametri si erano praticamente azzerati.
Hanno pensato che fosse morto, ma giunte sul posto si sono trovate una bella sorpresa. Tutti i tubi e gli ammennicoli vari staccati e lui, puff, sparito.
“Avvertite la polizia,” ordina subito Pedrazzi - il sonno ormai completamente sparito - e fa partire di nuovo l’allarme silenzioso.
“Dottore, ma come ha fatto… “
“Non lo so, era praticamente morto, adesso c’è in giro un uomo morto che cammina.”
L’infermiera non coglie l’allusione carceraria, alza un sopracciglio e poi sparisce per chiamare le forze dell’ordine.
Il paziente aveva indosso solo un camice dell’ospedale. Qualcuno deve averlo visto vagare per i corridoi e uscire dall’ospedale. Forse è nascosto da qualche parte. Forse si è riavuto dal coma (anche se per Pedrazzi è una cosa impossibile da ipotizzare) e adesso è svenuto in un ripostiglio di scope.
“Cercatelo in ogni dove,” intima alle altre infermiere e poi si incammina svelto verso il posto di guardia.
Vito Catozzo si sta estraendo del materiale ignoto dalla unghie con un’altra unghia smangiucchiata. Una scena raccapricciante.
“Salve.”
“Buongiorno, dottore.”
Continua a spulciarsi le unghie, come se fosse l’attività più naturale del pianeta.
Pedrazzi simula un colpo di tosse, giusto per mantenere alta la soglia di attenzione. In effetti sembra funzionare perché la guardia smette di rimirarsi con lussuria le unghie e punta il dottore.
“Non è per caso che ha visto passare un tizio con solo il camice dell’ospedale addosso?”
“In effetti sì.”
Il primo impulso è quello di strangolarlo, poi di fargli ingoiare un intero flacone di barbiturici.
“E non l’ha fermato?”
“Avrei dovuto?”
Il dottore è al limite, ha la faccia paonazza e delle vene pulsanti sulla fronte, ma è inutile alterarsi con questo tizio, proprio non c’arriva a livello encefalico.
“E per caso ha visto dove è andato?”
“Mi dia pure del tu, dottore.”
“Dove cazzo è andatooooo!!!?”
La guardia sembra stupita dalla reazione a dir poco aggressiva del dottore. Spalanca tutto lo spalancabile sulla faccia e assume un’espressione tra il perplesso e lo stizzito.
“Si calmi, dottore.”
“Dove?”
Quello che legge sulla faccia di Pedrazzi sembra convincerlo che non è il momento di tergiversare.
“È uscito semplicemente dalla porta principale.”
“Lei è un idiota, lo sa?”
“Io posso denunciarla.”
“Certo, lo faccia e io la denuncio per negligenza, razza di imbecille.”
La guardia questo lo capisce, perché sbianca e ammutolisce. Pedrazzi muove verso l’uscita, ma intuisce che è inutile. Apre comunque la porta, da uno sguardo fuori e non vede niente. Solo una gradazione di nero che fuma verso il violetto nel cielo e le luci gialle della rampa che porta al pronto soccorso.
Sconsolato torna dentro. Il paziente misterioso ora si è trasformato nel fuggiasco misterioso, il fatto che si sia alzato dal letto e abbia potuto sparire nella notte ha dell’incredibile.
Non tanto per l’incompetenza della guardia, ma per il fatto che solo qualche ora prima era in bilico sul baratro della morte.
Il suo turno è ormai finito da ventidue minuti. Molla tutto nell’armadietto degli spogliatoi e cerca di sparire prima che le domande della polizia possano fermarlo. A quelle risponderanno le infermiere e al limite lo potranno rintracciare il giorno dopo. Ora, nonostante la stanchezza, ha voglia di bere una bella birra ghiacciata.
L’aria del primo mattino è frizzante, gli solletica le narici e lo fa sentire vivo e meno disperato.
A quell’ora nella grande città ci sono comunque ancora dei pub aperti, e lui sa già in quale si recherà.
Si concede un timido sorriso e sale sulla sua Camaro azzurra.
[CONTINUA]

Elite

Ricordo che ho passato ben otto mesi della mia vita a giocare a questo titolo.
Capitemi era il 1985 e avevo 15 anni. Una mente debole, una passione sfrenata per i videogiochi, anche se era 4 pixel in croce come questo gioco sul mitico zx spectrum 48k.
Cosa dire di questo gioco? È una simulazione di volo, combattimento e commercio ambientata nello spazio, nato dalle menti perverse di David Braben and Ian Bell.
Sostanzialmente si tratta di comprare merci e rivenderle a prezzo più alto, viaggiando di pianeta in pianeta, di galassia in galassia, cercando di non farsi friggere dai pirati e da vari nemici. La profondità di gioco stava proprio nell'idea del free roaming, forse uno dei primi nella storia dei videogiochi.
Era intrigante perché più nemici si abbattevano più si scalava la classifica fino ad arrivare appunto a livello Elite, ma vi dico che in tutti quei mesi non ci sono mai arrivato (so' scarso).
Con i soldi dalla scambio merci si potevano comprare potenziamenti per l'astronave e fare un culo così agli avversari. Aveva delle limitazioni, certo, i pianeti erano dei cerchi, il sole un cerchio bianco, le astronavi un insieme di rette e punti, ma a me non importava una fava, il gioco ti tirava dentro come una scimmia con la banana.
E in effetti in quel periodo mi aveva rincoglionito per bene, ero a casa da scuola, perché avevo pensato bene di ritirarmi dalla prima superiore e non ne volevo sapere di lavorare, con sommo gaudio dei miei parents. In compenso giocavo tutto il giorno fino a credere di essere veramente a bordo di un'astronave e di notte naturalmente non facevo altro che sognare di navigare tra i vari pianeti.
Ero giovane, perdonatemi. Grazie a dio non c'erano ancora le console e i mmorpg, sennò sarei morto per consunzione.
Tutto questo per ribadire, come ho già ripetuto alla nausea altre volte, che (almeno per me) non conta tanto la grafica mirabolante di un gioco, ma la sua giocabilità, la profondità e l'atmosfera (rarefatta).
Dopo ci sono stati capitoli successivi, fatti altrettanto bene e suggestivi, in cui ho perso altre ore, ma come il primo non ce n'è. Proprio no. Amici.
Concludo dicendo che ho provato a rigiocarci, giusto qualche mese fa, con un emulatore dello zx spectrum, e sono durato qualche ora, in cui comunque me la sono goduta e ho potuto accellerare quelle fasi che sono oggettivamente pallose, cioe la ricerca della mitica base spaziale a cui agganciarsi, conquistata a forza di manovre e dimenticata dopo l'acquisto dell'agognato docking computer (1500 crediti, ragazzi miei).
Incredibile, velocizzando quelle fasi, gli otto mesi si sono drasticamente ridotti a qualche settimana di gioco.
Mi viene da piangere.

Le Stelle (5)

Il sangue dovrebbe avere valori sballatissimi, soprattutto perché il paziente è appena uscito da una sessione di diverse ore di sala operatoria e ha ricevuto diversi litri di plasma. Inoltre le lacerazioni, le infezioni e le varie emorragie interne dovrebbero aver lasciato una traccia evidente e invece i valori rientrano tutti nella norma, tranne i leucociti che sono circa ventimila per centimetro cubo. Il valore normale di solito ricade tra i cinquemila e i diecimila. Il fatto che siano i neutrofili quelli in maggior numero potrebbe indicare che è in atto un’infezione o un’infiammazione di tipo batterico.
Le cause possono essere diverse, in primis proprio le ferite riportate nell’incidente. Nessuna sostanza strana: niente droghe, alcol, sostanze chimiche di vario genere, niente al di fuori del normale.
Qualunque cosa abbia iniettato la donna è stata assorbita immediatamente dall’organismo, oppure il dottore ha sbagliato esami e non lo scoprirà mai.
Se il corpo ha espulso qualcosa, lo scoprirà con le urine. Pedrazzi lascia il laboratorio. È quasi mattina ormai, a est si intravedono già le prime avvisaglie di chiarore. Sente il mostro del sonno salirgli da dietro la testa e minacciare di farlo crollare sul pavimento, ma resiste. Prima deve scoprire il mistero del liquido invisibile.
Si ferma a prendere un altro caffè. In giro non c’è nessuno, nemmeno il fantasma dei natali passati. Svolta a destra, poi a sinistra e arriva nel corridoio giusto. Lì trova un po’ di agitazione. Infermiere che corrono e si disperano e quella a cui stava rimirando il fondoschiena con una cornetta del telefono a mezz’asta. Lo guarda, rimane per un secondo come se fosse fuori linea e poi gli corre incontro.
“Dottore, la stavo cercando,” sputa fuori le consonanti come proiettili da mitraglia.
“Cos’è successo?” chiede Pedrazzi cercando di restare calmo, ma già il cuore ha cominciato a viaggiare veloce.
“Il paziente della diciassette… “
“È morto?”
“No, è sparito.”

Mondiali di Calcio 2010: la Vuvuzela...

Ne vogliamo parlare?
È già la terza partita che guardo in tele e 'sta trumbetta è davvero fastidiosa.
Ok, è tradizione, noi nordici non possiamo comprendere, non si dovrebbero criticare certe cose folkloristiche se non se ne conoscono le origini, e bla bla.
Ma sta di fatto che rompe il cazzo.
È un dato oggettivo. Sembra di avere in casa un migliaia di calabroni, incazzati per giunta.
Il frastuono di questi infernali arnesi raggiunge soglie di decibel impensate, tanto da soverchiare la telecronaca, che, nel caso parli Salvatore Bagni, può essere anche un manna dal cielo, ma se è quell'altro, un po' fa girare.
Per fortuna posso scegliere di mettere muto e indovinare i nomi dei giocatori dai numeri: un esercizio per la mente, per il cuore, ma soprattutto per la pazienza.
Sarebbe tanto chiedere alla Rai e a Sky di campionare il fastidioso ronzio ed escluderlo dalla telecronaca?

Le Stelle (4)

A Pedrazzi tocca anche il turno di notte, il dottor Moresco ha dato malattia e nessuno poteva sostituirlo. Lui è quello che ha appena divorziato, lui è quello che non ha una vita famigliare e quindi non ha impegni urgenti e gli tocca spesso sostituire i colleghi malati.
Non gli importa poi molto, non gli pesa fare un altro turno, quello notturno, a parte le emergenze, è il più tranquillo, i pazienti dormono e quelli in coma non si lamentano comunque.
Sfoglia un noioso trattato su un nuovo farmaco che sembra fare miracoli per il fegato e rischia di addormentarsi al secondo paragrafo.
Allora si alza, veleggia stancamente verso i distributori automatici trascinando a fatica i piedi sul linoleum color fungo dei corridoi.
Beve un caffè senza nemmeno gustarlo, lo butta giù come acqua fresca, ustionandosi la lingua e parte del tratto esofageo. Poi, non contento, ne prende un altro e lo assorbe allo stesso modo. Sia il liquido che l’ustione hanno l’effetto desiderato: svegliarlo completamente.
Fissa per alcuni secondi il messaggio di benvenuto del distributore automatico, giusto per assicurarsi di essere vivo e sul piano esistenziale giusto, poi, dopo un brontolio di protesta dello stomaco, si appresta a ritornare alla postazione di controllo.
Mosso il primo passo però, nota un movimento alle sue spalle con la coda dell’occhio. Con un sussulto al cuore, si volta, ma non scorge nulla, se non la parete divisoria del corridoio che porta in radiologia.
Sta dandosi dell’idiota per essersi fatto ingannare da un gioco d’ombre, quando sente un rumore provenire da quella direzione.
Altro sussulto al cuore e una breve morsa alla bocca dello stomaco.
Il rumore non si ripete, ma ora il dottor Pedrazzi è più che sveglio, perché nel sangue si è aggiunta anche un po’ di adrenalina. Gli vengono in mente immagini da film dell’orrore, dove il protagonista entra comunque nella casa stregata perché è stato attratto da qualcosa o spinto dalla curiosità.
Ma qui non siamo in un film dell’orrore, giusto? – pensa il dottore per rincuorarsi.
Fissa per diversi secondi il punto in cui crede di aver visto qualcuno muoversi, ma non accade nulla, naturalmente. D’altronde nemmeno nei film più scarsi non funziona così. Allora, suo malgrado, spinto dalla curiosità assassina di quei b-movie, anche il dottor Pedrazzi si muove nella direzione da cui sembra essere scaturito il rumore di poco prima.
Nel corridoio non c’è nessuno. Muove verso sinistra, verso le camere dove sono ricoverati diversi pazienti terminali e in coma irreversibile.
Il silenzio è assoluto, disturbato soltanto dal ronzio delle apparecchiature elettroniche di controllo. Passando davanti alle stanze con larghi finestroni a veduta televisiva sui pazienti distesi nei letti, non nota nulla di strano e l’unico essere deambulante sembra essere lui.
Volta l’angolo del corridoio cercando di non trascinare troppo le suole degli zoccoli sul pavimento di linoleum verde. Alla sua sinistra nota qualcosa, un movimento furtivo.
Il cuore rimbalza a centodue battiti al minuto, la stanza è quella del paziente appena uscito dalla sala operatoria, il morente misterioso.
Nella penombra scorge una figura: è china sul paziente. Pedrazzi si immobilizza, pietrificato dalla paura. La figura si muove, diventa più visibile. È una donna, ha lunghi capelli color grano, è di spalle ed estrae dalla giacca una siringa.
Il dottore vorrebbe intervenire, ma, per un motivo che non riesce a comprendere, è paralizzato dal terrore.
La donna infila la siringa in un punto indistinto del corpo del paziente, questo fa scattare qualcosa nella mente del medico. La paralisi si scioglie come gelato al lampone. Scatta verso la stanza, ma fa troppo rumore. La donna percepisce la sua presenza, si volta e lo vede.
Non si muove, continua strenuamente a iniettare il liquido nel corpo disteso nel letto. Pedrazzi è ormai alla porta. La spalanca e si proietta di slancio contro la bionda.
Lei conclude il suo lavoro, ha il tempo di applicare una benda e poi si scosta nell’esatta frazione di secondo in cui il medico le sta rovinando addosso.
Pedrazzi crolla sul pavimento senza nemmeno sfiorare un pelo della donna. Nella caduta però nota un particolare irrilevante, che indossa un maglione ridicolo, con alci che ricoprono il seno.
La donna gli salta letteralmente sopra e fugge verso la porta.
“Ferma!” le urla dietro il dottore tentando di rialzarsi., ma lei ovviamente non si ferma. Scompare nella penombra del corridoio e i suoi passi ritmati si fanno sempre più lontani.
Il dottore riesce finalmente a rialzarsi, guarda per un secondo il paziente e i suoi valori sul display sopra il letto, ma niente sembra essere cambiato. Qualsiasi cosa abbia iniettato la donna, per il momento non ha alterato l’equilibrio comatoso del paziente. Fa scattare comunque l’allarme, sperando che la guardia all’ingresso non stia dormendo come al solito. Poi corre verso il corridoio.
La donna è già sparita, non ode nemmeno più il rumore dei passi. Si è come volatilizzata. La sirena dell’allarme è muta, il silenzio è palpabile, ma, niente, lei è sparita.
Il lampeggiante rosso spara dardi di luce infuocata nella penombra dei corridoi trasformando l’atmosfera pacata dell’ospedale in qualcosa di inquietante e definitivo.
Pedrazzi corre verso il punto dove immagina sia sparita la donna e ha il fiatone dopo dieci passi. Nonostante sia medico, ama la vita sedentaria, è una buona forchetta e non fa mai esercizio fisico.
Non trova nessuna finestra aperta, nessuna porta accostata. Corre, o meglio, caracolla verso la stanza dove di solito alberga la guardia. Ma la guardia non c’è.
Intanto infermiere confuse hanno incominciato ad invadere i corridoi e ad affacciarsi da alcune stanze. Pedrazzi ne blocca una e le chiede di controllare il paziente della camera diciassette.
La guardia è davanti alla porta di ingresso in maniche di camicia e con le mani appoggiate al cinturone in una posa alla Clint Eastwood. Ha dipinto sul volto un’espressione di gaudio che Pedrazzi non capisce, vista la situazione, e sta scrutando con malcelata indolenza il trampolino di accesso all’ospedale.
“Salve,” esordisce il dottore con un certo affanno.
La guardia si volta lentamente, al rallentatore, l’espressione beota non muta con il variare del posizionamento.
“Bella serata, vero?” risponde la guardia in totale dissociazione mentale.
“Ehm, certo. Giusto per curiosità, ha notato che è scattato l’allarme?”
La guardia ciondola la testa con fare confuso e fissa per un secondo i lampeggianti rossi come una mucca che guarda passare il treno.
“Sì, ma non capisco come mai.”
“Niente di importante, mi creda. Per caso non ha visto passare una ragazza con lunghi capelli biondi?”
“No, no.”
“Grazie di tutto. Buon lavoro.”
“Oh, grazie,” conclude la guardia e torna a scrutare l’orizzonte come la vedetta lombarda. In alcuni atteggiamenti ricorda a Pedrazzi un poliziotto interpretato da Faletti in Drive In: Vito Catozzo.
Nonostante l’incazzatura, il medico riesce a sorridere di quel pensiero. Torna rassegnato verso la camera diciassette. Va bene, la ragazza si è volatilizzata, ma ora è curioso di scoprire che sostanza è stata iniettata nel corpo del paziente.
L’infermiera che aveva precettato poco prima sta controllando i vari tubi che assicurano la vita artificiale del comatoso. Pedrazzi la lascia fare ammirandole il fondoschiena niente male.
L’allarme si spegne da solo, tutti sembrano più rilassati anche se non sono a conoscenza del motivo per cui sia scattato. L’infermiera lascia la stanza con un sorriso di circostanza e il dottore si munisce di siringa sterile.
Avvicinandosi al braccio dove la donna ha iniettato la sostanza misteriosa, nota che il foro di entrata è stato praticato con una certa abilità direttamente in vena e che la ragazza si è pure preoccupata di applicarci un cerotto.
Questo è significativo per Pedrazzi: la donna non aveva nessuna intenzione di uccidere. Non era una fanatica dell’eutanasia, ne tanto meno una folle. Sapeva bene quel che stava facendo, ora il suo compito è solo quello di scoprirne il motivo.
Preleva qualche centilitro di sangue e lo riversa in una provetta sterile. Il paziente non batte ciglio, sembra sempre e comunque in coma.
Controlla i valori sul display ancora una volta. Nulla è cambiato, il paziente è sempre stabile. Osserva un po’ quel viso tumefatto, reso misterioso dalla penombra, poi se ne va, ansioso di scoprire la verità.

Mondiali di Calcio 2010: Italia - Paraguay

È stato un anno pieno di soddisfazioni, per un tif... simpatizzante dei colori neroazzuri.
Ebbene sì, lo ammetto, sono Interista.
Qualche decennio fa ero più sfegatato, più malato, più tifoso. Non sono arrivato a livelli di fare l'abbonamento o cose di questo genere, ma se c'era da guardare una partita o uscire con una tipa, be', uscivo con la ragazza, ma un po' mi giravano.
Poi ho capito che mi piacevano di più le ragazze e quindi...
No, diciamo che ha incominciato a disgustarmi tutto quello che ci girava intorno. Perché sono sempre stato un appassionato di calcio, c'ho giocato, ho persino avuto l'abbonamento al Varese (regalato. Ah, a proposito, è appena risalito in serire B, congratulazioni), ho militato in squadre di infima lega, facendo persino panchina.
Tutto questo preambolo strampalato per dire che sì, guarderò la partita e tiferò per la nazionale. So che è un po' fuori moda dirlo, ma quando arrivano i mondiali, ritorna quella gioia di rivedere il calcio giocato. Possono sopportare persino gli opinionisti come Collovati, o Serena, ma non Salvatore Bagni. Guarderei la partita senza volume, ma con la telecronaca ha tutto un altro fascino, ci vorrebbe un congegno che mette su muto quando parlano gli esperti che dicono solo minchiate, o tecnicismi di cui non ce ne frega un benemerito.
Quindi sì, tutto questo girovagare e cincischiare per dire che sarò lì a soffrire per l'Italia, alla faccia di chi ci vuole male e di Renzo Bossi e compagnia bella.
L'Italia è un paese di milioni di commissari tecnici, che farebbero la formazione e le convocazioni meglio di Lippi, e bla bla bla.
Intanto questo signore, che non sta simpatico nemmeno a me, ha vinto un Campionato del Mondo, quello del 2006, ricordate?. Magari di culo, magari no, ma intanto siamo lì e, sperando che gli azzurri ce la mettano tutta.
E porca puttana non posso dire Forza It...

Railroad Tycoon

Un altro gioco su cui ho perso molte ore del mio prezioso tempo.
Railroad Tycoon nasce dal genio di Sid Meier.
Certo, quello di Civilization, guarda un po'.
Il gioco di strategia e simulazione economica risale al 1990, vent'anni fa, e mi è capitato di rigiocarci in questi giorni, grazie al dosbox e grazie anche al fatto che è un abandonware.
La grafica era veramente minima, pixel sparsi per simulare città, boschi, fiumi, ecc.
Come Civ, però, il punto forte di questo titolo, campione di incassi in quegli anni, era la giocabilità e la complessità di simulazione.
Il titolo spiega tutto: si fonda una compagnia ferroviaria e si cerca di farla prosperare. Più facile a dirsi che a farsi. Se nel livelli di di difficoltà più bassi era abbastanza semplice far fuori gli avversari e vincere, diventando presidente degli Stati Uniti, nei livelli più difficili era un'impresa ardua.
Il gioco comunque non è solo connettere città più o meno grandi, che crescono con l'avanzare degli anni, soprattutto, se connesse a una ferrovia, trasportare passeggeri e merci, ma anche costruire industrie, comprare titoli della propria società o delle ferrorie rivali. Sì, perché anche le altre tre compagnie, saranno agguerrite e disposte a farci fuori sul campo o ad assorbirci. raggiungendo la maggioranza azionaria della compagnia.
La complessità economica si basa su domanda e offerta, regole base del mercato. Alcune città accettano determinate merci, altre no, dipende poi dal livello di complessità scelto a inizio partita.
Il gioco era di una profondità tale che mi rapì per diversi mesi, anni, probabilmente, perché ci giocai e rigiocai a più riprese, proprio come Civilization nel '91.
Anche per questo titolo, come per Civ, ci sono stati capitoli successivi, titoli degni di nota, non di Meier, ma comunque che hanno ricalcato lo stesso modello del capostipite, anche se basati su scenari con missioni da compiere.
Coinvolgenti, ma di certo non come il primo.
Sì, sarò anche nostalgico, forse un poco maniaco a rigiocare questi titoli ormai preistorici, ma la giocabilità (sì, l'ho già detto mille volte) di questi mostri del passato è difficile ritrovarla nella maggior parte dei titoli di questi anni.
Capitemi, è un momento così.
Passerà.

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