Le Stelle (7)

Erminio Maestro, il padrone del pub ‘La Mostarda Parlante, lo accoglie con il suo solito sorriso gioviale. Sotto i baffoni grigi nasconde sempre un po’ di coriacea simpatia per tutti e dispensa, oltre alla birra che scorre a fiumi, anche perle di saggezza sulla vita.
Erminio non ama solo parlare e spillare birra, ha sempre avuto il fiuto per gli affari ed ha inventato di sana pianta diversi cocktail che vanno per la maggiore tra i giovani. Sembra quasi che si diverta a mischiare in modo casuale vari elementi per vedere cosa salta fuori.
Mostarda Parlante deriva appunto da questo, da un cocktail di sua invenzione, in cui uno degli ingredienti è la mostarda, e una volta degustata l’avventore non può far altro che cominciare a parlare.
“Come va, Savio?” gli domanda non appena il dottore si siede su un alto sgabello di fronte al bancone – Erminio gli ha già preparato un bel boccale da mezzo litro di birra che spumeggia davanti ai suoi occhi. Pedrazzi prima di rispondere tira una bella boccata e sospira, come se quel liquido fosse esso stesso fonte di vita e piacere.
“Bene,” mormora il dottore assaporando il momento: il retrogusto amaro sul palato, la fresca sensazione lungo l’esofago e il piacere del dolce intorpidimento che presto avrà la meglio sul cervello.
“Non mi sembri molto convinto. È successo qualcosa all’ospedale?”
Nonostante siano le prime ore della mattina, il locale è comunque discretamente affollato. Pedrazzi osserva per alcuni secondi la gente, tra cui anche una bionda in shorts mozzafiato, e poi torna a guardare l’oste. Indossa come al solito una maglietta bianca con il logo del locale sui possenti pettorali. Erminio ha avambracci da lottatore e un collo che non ha nulla da invidiare a quello di Mike Tyson, è alto quasi due metri e assomiglia vagamente a Hulk Hogan, wrestler famoso negli anni ’80.
Il dottore allora gli racconta tutto: Erminio è anche una specie di muro del pianto, un confessore, lo psicanalista, perché il gigante buono sa ascoltare e sa dare buoni consigli.
L’oste lo lascia parlare, sente che ha bisogno di sfogarsi, non lo interrompe mai, perché sa che è di quello di cui il dottore ha bisogno.
“Non riesci ad accettare il fatto che la donna possa avere iniettato un liquido miracoloso nelle vene del paziente, giusto?”
L’osservazione è acuta come al solito.
“No, non riesco ad accettarlo. Nel sangue non c’era nulla, a parte i leucociti al doppio del normale, e allora volevo tornare per prelevare dell’urina dalla sacca, ma quello se n’era già andato. Mi domando come.”
“Sulle sue gambe, immagino.”
“Sì, chiaro, quell’idiota della guardia l’ha visto uscire e nemmeno gli è passato per l’anticamera del cervello di fermarlo.”
Erminio se la ride. Ha una risata grassa, coinvolgente e anche Pedrazzi non può fare a meno di sorridere.
“Allora come spieghi questa guarigione miracolosa?” domanda l’oste spillando una bionda.
“Non me la spiego, secondo logica è evidente che il liquido iniettato dalla donna ha sortito un effetto benefico, ma, in questo caso, sarebbe un farmaco che rivoluzionerebbe la storia della medicina e forse non ci sarebbe nemmeno più bisogno di noi medici.”
“O forse i tuoi chirurghi hanno valutato male le condizioni reali del paziente.”
“Anche se fosse, quell’uomo non poteva alzarsi e sparire come Lazzaro dopo tutte quelle ore di sala operatoria.”
“È possibile per un paziente in quelle condizioni alzarsi e scappare da un ospedale se gli è stato iniettato nel sangue un potente stimolante?”
Pedrazzi scuote la testa e abbassa gli occhi sulla schiuma della sua birra che lentamente sta scemando.
“No, non con tutte quelle ferite e quelle fratture, perché ti assicuro che aveva fratture multiple in tutto il corpo e poi l’avrei notato nel sangue. Quindi è una cosa inspiegabile e nessuno sarà in grado di spiegare alla polizia quello che è successo.”
“Questo ti preoccupa?”
“No, non me può fregare di meno, ma rimane comunque il fatto che non saprò mai quel che è accaduto veramente.”
“Mai dire mai,” dice Erminio con un sorriso enigmatico, spilla un’altra birra e poi da retta ad un altro cliente.
Nel locale aleggiano diversi profumi, l’aroma forte dello stufato che da sempre viene servito a tutte le ore del giorno, la fragranza melliflua e fruttata del corpo di una donna lì vicino e quello del tabacco, di sottofondo, che è rimasto comunque impregnato nelle pareti nonostante siano diversi anni che non si fuma più li dentro.
Il dottore scola la sua birra. Rimane a rimirare per quasi dieci minuti attraverso il vetro del boccale le strane forme degli attori che si muovono come in un mondo privo delle regole dove ora lui soggiorna.
Quando ormai fuori il giorno ha vinto la sua battaglia millenaria con la notte, si alza dal bancone, paga ed esce.
La vecchia Chevrolet che ha comprato su ebay e lì ad attenderlo, come una fedele compagna. Sta infilando la chiave nello sportello, quando il caso o il destino, a seconda delle diverse fedi, gli fa passare davanti agli occhi l’occasione per sbrogliare la matassa del mistero che gli tormenta la mente e il cuore.
Davanti al locale sfila una Ford fiesta marrone con alla guida la donna bionda di quella notte e al suo fianco un uomo. Pedrazzi non lo riconosce, ma sa per certo che è il paziente appena fuggito dall’ospedale.
Non perde tempo, apre lo sportello, avvia il motore e si lancia all’inseguimento.

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