Il Papa (9)

Nessun tunnel al di là del limite, nessuna barca traghettatrice, ma un albero. Un albero non molto alto con una larga chioma. Marello conosceva il nome di quell’albero, non capiva come, ma ne era a conoscenza.
Mugumo. L’albero sacro.
All’ombra dell’albero un uomo di colore stava sdraiato e si godeva l’aria tiepida di una giornata limpida e assolata. Aveva gli occhi chiusi e teneva fra le labbra un filo d’erba. Era nudo, tranne per un gonnellino di paglia a coprirgli le parti intime.
“Benvenuto,” disse con voce cristallina. “Tu devi essere Marello, giusto?”
“Sì,” mormorò il cardinale confuso. “Io sono morto, ma è questo il paradiso? E tu chi sei?”
L’uomo diversamente epidermico alzò la testa e aprì gli occhi. Erano multicolore e variavano di sfumatura ogni attimo.
“Questo non è il paradiso come lo intendi tu, ma, in effetti è il luogo che si raggiunge dopo la morte. In quanto alla mia identità, be’, è semplice: sono colui il quale chiamate Dio nella vostra parte di mondo. Quello che ha creato tutto, diciamo. Il mio nome vero è impronunciabile e troppo lungo, i Kikuyu mi chiamano Ngai.”
Marello era senza parole. Tutta una vita a credere nel Dio del cristianesimo e invece l’unico dio era quello di una religione ormai quasi morta, venerato solo da pochi irruducibili abitanti del Kenya.
“Sì, è così, mi dispiace deluderti, ma, tranquillo, qui non esiste paradiso o inferno, esiste solo un’esistenza eterna al mio servizio. I compiti sono tanti e diversi, ti aiuterà Sofonia a decidere.”
Di fianco a Marello apparve dal nulla una ragazza di colore che indossava una tutina gialla e azzurra.
“Arrivederci, Marello, mandami un e-mail se dovessi incontrare problemi nella tua nuova vita.”
Sofonia prese sottobraccio il cardinale e lo portò via.
Ngai si sdraiò di nuovo all’ombra di Mugumo e chiuse gli occhi.

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