La donna si accorge immediatamente di essere inseguita. Pedrazzi non capisce come, visto che ha cercato di mantenersi ad una distanza di sicurezza come ha visto fare da Starsky e Hutch un milione di volte. Ovviamente lui non è un poliziotto, è solo un medico del policlinico e forse la donna conosceva già la sua auto. Non sa dare una spiegazione nemmeno a questo, ma ha come questa sensazione.
La Ford fiesta accelera, brucia un semaforo e Pedrazzi, per starle dietro, effettua una manovra assassina con la quale per un pelo non affonda nella fiancata di un bus da turismo. La Chevy è pesante, ma ha sicuramente più cavalli della utilitaria. Il problema è che la sua auto è un barcone mentre la piccola ford è agile e scattante.
Pedrazzi però non si perde d’animo, spinge al massimo i pistoni e cerca di riguadagnare terreno. La bionda non è scema: si intrufola in un vicolo a manetta, vicolo dove lui probabilmente non riuscirà a infilarsi.
La prende larga, fa sbandare un paio d’auto e riesce a centrare in modo perfetto il vicolo. Lo specchietto lato passeggero esplode in una miriade di cristalli luminescenti. Pedrazzi impreca ma non molla la presa. La ford non è lontana: è stata rallentata da un bidone della spazzatura, esploso in mille corpuscoli di pattume. Il bidone sta rotolando tipo roulette in mezzo al vicolo. Il paraurti in acciaio della Camaro lo proietta in alto e lo fa ricadere lontano, quasi in mezzo alla via affollata da cui sono arrivati.
La Ford piomba in mezzo ad un'altra via affollata, sperona un’altra utilitaria, cerca di evitare l’impatto con una moto e innesca un ingestibile effetto pendolo. La sua corsa finisce contro un palo della luce. Il cofano si accartoccia e dal radiatore sbuffa una nube di vapore.
Pedrazzi rallenta per non colpire l’utilitaria speronata dai due fuggitivi, accosta sul marciapiede e abbandona l’auto.
I due sono già scesi dalla Fiesta, lui sembra un po’ intontito mentre lei zoppica leggermente. La bionda prende per mano l’uomo che indossa un enorme cappello a falde larghe e un impermeabile beige. Fuggono verso il vicolo speculare a quello dove sono esplosi in mezzo alla via affollata.
Pedrazzi li insegue, rischiando più e più volte di farsi inverstire da altri veicoli indifferenti al sinistro appena avvenuto. Li vede scappare lungo il vicolo, l’uomo inciampa e rallenta la loro fuga. Il dottore aumenta i giri nonostante il cuore protesti, ma l’adrenalina lo aiuta a mantenere un ritmo di falcata sufficientemente veloce.
Pedrazzi è nel vicolo, i due sono quasi alla fine, ma, come la maggior parte dei vicoli nelle storie, anche questo è cieco. I due forse non se ne erano resi conto quando sono fuggiti da questa parte. Si fermano davanti al muro sotto cui fanno bella mostra dei sacchetti della spazzatura squarciati; sul muro una scritta cubitale: la moda cambia, lo stile resta.
Non si voltano e si buttano in una porta laterale, ovviamente aperta.
“Ehi!” grida Pedrazzi per fermarli, ma quelli non si fermano.
In ventidue secondi il dottore è sulla porta che ancora sfarfalla per il passaggio dei due fuggitivi. Sente giungere dei lamenti oltre la soglia, come se qualcuno stesse piangendo. Varca il limite ed entra in una stanza in penombra. Quello che ode però oltre la porta non sono suoni di disperazione, ma risate, grasse risate.
È perplesso: distesti su altri sacchi della spazzatura ci sono i due fuggitivi che se la ridono a crepapelle. La stanza non ha altre vie di fuga, solo quella da cui sono entrati.
Pedrazzi non riesce a muovere un muscolo: è completamente spiazzato dalla situazione. I due completano il loro ciclo di ilarità e puntano l’attenzione sul dottore.
“Ci scusi,” mormora la donna sopprimendo un altro impeto goliardico. “È che la situazione ci è sembrata troppo divertente. Non siamo proprio bravi nella parte dei fuggiaschi.”
Il medico non comprende quale sia il lato ironico della situazione, ma si adegua.
“Chi siete?”
“Non credo le piacerebbe saperlo,” risponde l’uomo con un tono di voce baritonale; cadendo sulla spazzatura gli è cascato il cappello rivelando le bende sul cranio rasato.
“Lei dovrebbe essere sotto osservazione in un ospedale in questo momento.”
“Sto bene, non si preoccupi per me.”
“Immagino che ci segua perché ha molte domande a cui sottoporci,” interviene la donna.
Pedrazzi annuisce.
“Comunque il mio nome è Nina e lui è Anettore. Abbiamo deciso di rispodere alle sue domande, tanto non le crederebbe nessuno.”
“Che significa? È perché di punto in bianco volete rispondere alle mie domande?”
“Non possiamo rispondere a tutto, il nostro permesso sta scadendo, mancano pochi minuti.”
Pedrazzi ha duecento domande che gli frullano per la mente.
“Cosa hai iniettato a lui?” domanda indicando Anettore.
“Non credo che capirebbe, anche se è un medico, diciamo che si tratta di un composto a base di cellule staminali e microrganismi costruttori e riparatori.”
Pedrazzi ride. “Mi prendete in giro, vero? Non esiste attualmente una tecnologia in grado di farlo.”
“Esatto,” continua Anettore. “Forse solo un abbozzo di teoria nanotecnologica. Non esiste sul vostro pianeta è la risposta esatta. Noi siamo extraterrestri, come dite voi, mister Pedrazzi, e siamo turisti, abbiamo passato un mese terrestre sul vostro pianeta.”
“In vacanza, quindi?”
Pedrazzi è sarcastico, crede che questi due siano dei folli, anche se ancora non sa spiegarsi la guarigione miracolosa, non può certo accettare che siano degli alieni.
“Capisco il suo sarcasmo, sarei anch’io scettico,” continua Anettore, “ma, mi creda, è così. Se ne renderà conto quando fra cinque minuti esatti spariremo davanti ai suoi occhi.”
“Va bene, diciamo pure che in via ipotetica io possa prendere in considerazione il fatto che siate degli alieni, avete addosso una tuta da umano? Da che pianeta provenite?”
Anettore sorride e anche Nina. È lei ha rispondere: “No, ci dispiace deluderla, non esistono forme di vita diverse, esiste solo il genotipo umano, in tutto l’universo conosciuto. Non siamo venuti ancora in contatto con forme di vita che non abbiano aspetto umano. In quanto alla provenienza, bè, io sono nativa di un pianeta che nella vostra lingua risulterebbe come Numinio Quadrato mentre Anettore è nativo di Sola Bianca, ma tutte e due abbiamo la residenza stellare su Pongo Ormone.”
Pedrazzi sfarfalla le palbebre un paio di volte, la follia di questi due ha costruito castelli dalla stanze veramente complesse.
“Quel composto… rivoluzionerebbe il campo medico…”
Stavolta è Anettore a parlare: “Sì, ma come nel vostro telefilm Star Trek, esiste un protocollo universale per non interferire con le civiltà tecnologicamente arretrate, sconvolgerebbe il vostro pianeta, arrivando addirittura ad una guerra totale. La vostra galassia non può essere influenzata da nessun intervento esterno. Noi abbiamo già rischiato molto usandolo per guarirmi, e verremo sicuramente multati.”
“La nostra galassia? Perché voi da dove arrivate?”
“Da un quadrante distante diversi milioni di anni luce.”
“E come fate a viaggiare più veloce della luce?”
“In realtà non viaggiamo, non abbiamo astronavi, solo le civiltà più arretrate come la vostra cercano di sfidare fisicamente lo spazio. Ma è troppo rischioso ed effettivamente è praticamente impossibile raggiungere destinazioni lontane diversi anni luce. Noi semplicemente saltiamo nell’esatto punto di destinazione. Il concetto è un po’ quello dello stargate, solo che i ricettori di trasmissione sono portatili e ogni punto di destinazione ha, per così dire, un’antenna, impiantata millenni fa dai nostri scout.”
Pedrazzi è sempre più convinto che siano due lucidi pazzi.
“Allora portatemi con voi,” dice come guanto di sfida. “Voglio vedere altri mondi, viaggiare per l’universo.”
Nina scuote la testa. “Non è possibile, ci è proibito dal protocollo, non avremmo nemmeno dovuto parlare con un terrestre, ma volevamo soddisfare la tua curiosità. Inoltre la tua mente non è pronta, impazziresti, avete davanti ancora un paio di millenni prima di raggiungere la tecnologia attuale della federazione stellare. Come ho ribadito prima, nessuno ti crederà e poi abbiamo degli infiltrati silenti in ogni organo di comunicazione che screditerebbero ogni tuo tentativo.”
“Già, per averti parlato, ci beccheremo un’altra multa. Pazienza, non potremo viaggiare per qualche tempo.”
“Quanti di voi sono qui sulla terra adesso?”
Risponde Anettore: “In questo momento? Qualche migliaio, più che altro in luoghi di interesse storico-turistico.”
“Perché avete scelto questo pianeta?”
“Perché è uno tra i più belli della vostra galassia e poi perché volevo provare una di quelle vostre auto sportive superveloci. Non ne esistono in tutto l’universo. Altre civiltà hanno sviluppato mezzi di locomozione simili, ma non come le vostre auto italiane. Evidentemente però non è mi è andata troppo bene, visti i risultati.”
Ride Anettore e sembra quasi celiare, poi guarda l’orologio che ha al polso e smette di ridere.
“Mancano pochi secondi, dottore. Le auguro una lunga vita, probabilmente non ci rivedremo mai.”
“Addio,” mormora Nina e fa ciao ciao con la mano.
Due secondi e spariscono.
La Ford fiesta accelera, brucia un semaforo e Pedrazzi, per starle dietro, effettua una manovra assassina con la quale per un pelo non affonda nella fiancata di un bus da turismo. La Chevy è pesante, ma ha sicuramente più cavalli della utilitaria. Il problema è che la sua auto è un barcone mentre la piccola ford è agile e scattante.
Pedrazzi però non si perde d’animo, spinge al massimo i pistoni e cerca di riguadagnare terreno. La bionda non è scema: si intrufola in un vicolo a manetta, vicolo dove lui probabilmente non riuscirà a infilarsi.
La prende larga, fa sbandare un paio d’auto e riesce a centrare in modo perfetto il vicolo. Lo specchietto lato passeggero esplode in una miriade di cristalli luminescenti. Pedrazzi impreca ma non molla la presa. La ford non è lontana: è stata rallentata da un bidone della spazzatura, esploso in mille corpuscoli di pattume. Il bidone sta rotolando tipo roulette in mezzo al vicolo. Il paraurti in acciaio della Camaro lo proietta in alto e lo fa ricadere lontano, quasi in mezzo alla via affollata da cui sono arrivati.
La Ford piomba in mezzo ad un'altra via affollata, sperona un’altra utilitaria, cerca di evitare l’impatto con una moto e innesca un ingestibile effetto pendolo. La sua corsa finisce contro un palo della luce. Il cofano si accartoccia e dal radiatore sbuffa una nube di vapore.
Pedrazzi rallenta per non colpire l’utilitaria speronata dai due fuggitivi, accosta sul marciapiede e abbandona l’auto.
I due sono già scesi dalla Fiesta, lui sembra un po’ intontito mentre lei zoppica leggermente. La bionda prende per mano l’uomo che indossa un enorme cappello a falde larghe e un impermeabile beige. Fuggono verso il vicolo speculare a quello dove sono esplosi in mezzo alla via affollata.
Pedrazzi li insegue, rischiando più e più volte di farsi inverstire da altri veicoli indifferenti al sinistro appena avvenuto. Li vede scappare lungo il vicolo, l’uomo inciampa e rallenta la loro fuga. Il dottore aumenta i giri nonostante il cuore protesti, ma l’adrenalina lo aiuta a mantenere un ritmo di falcata sufficientemente veloce.
Pedrazzi è nel vicolo, i due sono quasi alla fine, ma, come la maggior parte dei vicoli nelle storie, anche questo è cieco. I due forse non se ne erano resi conto quando sono fuggiti da questa parte. Si fermano davanti al muro sotto cui fanno bella mostra dei sacchetti della spazzatura squarciati; sul muro una scritta cubitale: la moda cambia, lo stile resta.
Non si voltano e si buttano in una porta laterale, ovviamente aperta.
“Ehi!” grida Pedrazzi per fermarli, ma quelli non si fermano.
In ventidue secondi il dottore è sulla porta che ancora sfarfalla per il passaggio dei due fuggitivi. Sente giungere dei lamenti oltre la soglia, come se qualcuno stesse piangendo. Varca il limite ed entra in una stanza in penombra. Quello che ode però oltre la porta non sono suoni di disperazione, ma risate, grasse risate.
È perplesso: distesti su altri sacchi della spazzatura ci sono i due fuggitivi che se la ridono a crepapelle. La stanza non ha altre vie di fuga, solo quella da cui sono entrati.
Pedrazzi non riesce a muovere un muscolo: è completamente spiazzato dalla situazione. I due completano il loro ciclo di ilarità e puntano l’attenzione sul dottore.
“Ci scusi,” mormora la donna sopprimendo un altro impeto goliardico. “È che la situazione ci è sembrata troppo divertente. Non siamo proprio bravi nella parte dei fuggiaschi.”
Il medico non comprende quale sia il lato ironico della situazione, ma si adegua.
“Chi siete?”
“Non credo le piacerebbe saperlo,” risponde l’uomo con un tono di voce baritonale; cadendo sulla spazzatura gli è cascato il cappello rivelando le bende sul cranio rasato.
“Lei dovrebbe essere sotto osservazione in un ospedale in questo momento.”
“Sto bene, non si preoccupi per me.”
“Immagino che ci segua perché ha molte domande a cui sottoporci,” interviene la donna.
Pedrazzi annuisce.
“Comunque il mio nome è Nina e lui è Anettore. Abbiamo deciso di rispodere alle sue domande, tanto non le crederebbe nessuno.”
“Che significa? È perché di punto in bianco volete rispondere alle mie domande?”
“Non possiamo rispondere a tutto, il nostro permesso sta scadendo, mancano pochi minuti.”
Pedrazzi ha duecento domande che gli frullano per la mente.
“Cosa hai iniettato a lui?” domanda indicando Anettore.
“Non credo che capirebbe, anche se è un medico, diciamo che si tratta di un composto a base di cellule staminali e microrganismi costruttori e riparatori.”
Pedrazzi ride. “Mi prendete in giro, vero? Non esiste attualmente una tecnologia in grado di farlo.”
“Esatto,” continua Anettore. “Forse solo un abbozzo di teoria nanotecnologica. Non esiste sul vostro pianeta è la risposta esatta. Noi siamo extraterrestri, come dite voi, mister Pedrazzi, e siamo turisti, abbiamo passato un mese terrestre sul vostro pianeta.”
“In vacanza, quindi?”
Pedrazzi è sarcastico, crede che questi due siano dei folli, anche se ancora non sa spiegarsi la guarigione miracolosa, non può certo accettare che siano degli alieni.
“Capisco il suo sarcasmo, sarei anch’io scettico,” continua Anettore, “ma, mi creda, è così. Se ne renderà conto quando fra cinque minuti esatti spariremo davanti ai suoi occhi.”
“Va bene, diciamo pure che in via ipotetica io possa prendere in considerazione il fatto che siate degli alieni, avete addosso una tuta da umano? Da che pianeta provenite?”
Anettore sorride e anche Nina. È lei ha rispondere: “No, ci dispiace deluderla, non esistono forme di vita diverse, esiste solo il genotipo umano, in tutto l’universo conosciuto. Non siamo venuti ancora in contatto con forme di vita che non abbiano aspetto umano. In quanto alla provenienza, bè, io sono nativa di un pianeta che nella vostra lingua risulterebbe come Numinio Quadrato mentre Anettore è nativo di Sola Bianca, ma tutte e due abbiamo la residenza stellare su Pongo Ormone.”
Pedrazzi sfarfalla le palbebre un paio di volte, la follia di questi due ha costruito castelli dalla stanze veramente complesse.
“Quel composto… rivoluzionerebbe il campo medico…”
Stavolta è Anettore a parlare: “Sì, ma come nel vostro telefilm Star Trek, esiste un protocollo universale per non interferire con le civiltà tecnologicamente arretrate, sconvolgerebbe il vostro pianeta, arrivando addirittura ad una guerra totale. La vostra galassia non può essere influenzata da nessun intervento esterno. Noi abbiamo già rischiato molto usandolo per guarirmi, e verremo sicuramente multati.”
“La nostra galassia? Perché voi da dove arrivate?”
“Da un quadrante distante diversi milioni di anni luce.”
“E come fate a viaggiare più veloce della luce?”
“In realtà non viaggiamo, non abbiamo astronavi, solo le civiltà più arretrate come la vostra cercano di sfidare fisicamente lo spazio. Ma è troppo rischioso ed effettivamente è praticamente impossibile raggiungere destinazioni lontane diversi anni luce. Noi semplicemente saltiamo nell’esatto punto di destinazione. Il concetto è un po’ quello dello stargate, solo che i ricettori di trasmissione sono portatili e ogni punto di destinazione ha, per così dire, un’antenna, impiantata millenni fa dai nostri scout.”
Pedrazzi è sempre più convinto che siano due lucidi pazzi.
“Allora portatemi con voi,” dice come guanto di sfida. “Voglio vedere altri mondi, viaggiare per l’universo.”
Nina scuote la testa. “Non è possibile, ci è proibito dal protocollo, non avremmo nemmeno dovuto parlare con un terrestre, ma volevamo soddisfare la tua curiosità. Inoltre la tua mente non è pronta, impazziresti, avete davanti ancora un paio di millenni prima di raggiungere la tecnologia attuale della federazione stellare. Come ho ribadito prima, nessuno ti crederà e poi abbiamo degli infiltrati silenti in ogni organo di comunicazione che screditerebbero ogni tuo tentativo.”
“Già, per averti parlato, ci beccheremo un’altra multa. Pazienza, non potremo viaggiare per qualche tempo.”
“Quanti di voi sono qui sulla terra adesso?”
Risponde Anettore: “In questo momento? Qualche migliaio, più che altro in luoghi di interesse storico-turistico.”
“Perché avete scelto questo pianeta?”
“Perché è uno tra i più belli della vostra galassia e poi perché volevo provare una di quelle vostre auto sportive superveloci. Non ne esistono in tutto l’universo. Altre civiltà hanno sviluppato mezzi di locomozione simili, ma non come le vostre auto italiane. Evidentemente però non è mi è andata troppo bene, visti i risultati.”
Ride Anettore e sembra quasi celiare, poi guarda l’orologio che ha al polso e smette di ridere.
“Mancano pochi secondi, dottore. Le auguro una lunga vita, probabilmente non ci rivedremo mai.”
“Addio,” mormora Nina e fa ciao ciao con la mano.
Due secondi e spariscono.
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