E' da oggi disponibile lo XII-Trailer di Inferno 17, scaricabile gratuitamente in formato PDF!
Leggetene un caldo estratto: i primi capitoli, l'intervista al vulcanico Davide Cassia e altri contenuti extra!
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Zodiac
Scrivere una sceneggiatura da fatti realmente accaduti, me ne rendo conto, non deve essere semplice. Lo si intuisce da alcuni film che ho visto ultimamente, come The Hoax, che ho fatto fatica a digerire.
Zodiac era il soprannome che si era dato un serial killer che aveva terrorizzato la città di San Francisco a partire dal 1968. Un caso mai risolto, soprattutto dopo la morte del maggior indiziato per cause naturali. La storia è incentrata su una serie di personaggi che, volenti o nolenti, sono stati coinvolti nei fatti. Giornalisti, poliziotti e un vignettista, appassionato di enigmistica, che trarrà poi dalla storia un libro.
Un cast di "peso", non stelle di prim'ordine, ma attori noti e soprattutto bravi. Mirabile interpretazione di Jake Gyllenhaal (I segreti di Brokeback Mountain, Donnie Darko) nella parte del vignettista, grandioso Mark Ruffalo, uno degli ispettori che seguono il caso, Robert Downey Jr. nella parte del giornalista folle e bravo anche Anthony Edwards, che tutti ricordano come Dottor Greene di E.R.. Ruoli interpretati magistralmente con una classe rara, diretti da un ottimo regista quale David Fincher (Panic Room, Fight Club).
Se la recitazione è uno dei punti forti del film, di contro la trama e il tessuto narrativo a volte balbettano. Fincher l'ha tirata un po' troppo per le lunghe (2 ore e mezza), di un fim che se condensato in meno di due ore sarebbe stato eccellente.
Non fraintendetemi, non mancano passaggi spettacolari e colpi di scena, narrati con dovizia, come ci aveva abituato soprattutto in Fight Club, ma lì era il plot a essere mirabolante.
Questa alternanza di alti e bassi, chiari e scuri, fanno calare l'attenzione dello spettatore in alcuni punti, quasi noiosi, e poi lo fanno saltare sulla sedia in altri.
Forse la parte migliore è il finale, dove il vignettista rincorre i fili dell'indagine che si erano persi negli anni, e l'inizio, quando l'assassino compie le sue efferatezze. Nel mezzo un po' di sbadigli.
Tutto sommato, se amate questo genere, il film non vi dispiacerà. È un po' ostico, bisogna digerirlo per bene e poi capirlo.
Zodiac era il soprannome che si era dato un serial killer che aveva terrorizzato la città di San Francisco a partire dal 1968. Un caso mai risolto, soprattutto dopo la morte del maggior indiziato per cause naturali. La storia è incentrata su una serie di personaggi che, volenti o nolenti, sono stati coinvolti nei fatti. Giornalisti, poliziotti e un vignettista, appassionato di enigmistica, che trarrà poi dalla storia un libro.
Un cast di "peso", non stelle di prim'ordine, ma attori noti e soprattutto bravi. Mirabile interpretazione di Jake Gyllenhaal (I segreti di Brokeback Mountain, Donnie Darko) nella parte del vignettista, grandioso Mark Ruffalo, uno degli ispettori che seguono il caso, Robert Downey Jr. nella parte del giornalista folle e bravo anche Anthony Edwards, che tutti ricordano come Dottor Greene di E.R.. Ruoli interpretati magistralmente con una classe rara, diretti da un ottimo regista quale David Fincher (Panic Room, Fight Club).
Se la recitazione è uno dei punti forti del film, di contro la trama e il tessuto narrativo a volte balbettano. Fincher l'ha tirata un po' troppo per le lunghe (2 ore e mezza), di un fim che se condensato in meno di due ore sarebbe stato eccellente.
Non fraintendetemi, non mancano passaggi spettacolari e colpi di scena, narrati con dovizia, come ci aveva abituato soprattutto in Fight Club, ma lì era il plot a essere mirabolante.
Questa alternanza di alti e bassi, chiari e scuri, fanno calare l'attenzione dello spettatore in alcuni punti, quasi noiosi, e poi lo fanno saltare sulla sedia in altri.
Forse la parte migliore è il finale, dove il vignettista rincorre i fili dell'indagine che si erano persi negli anni, e l'inizio, quando l'assassino compie le sue efferatezze. Nel mezzo un po' di sbadigli.
Tutto sommato, se amate questo genere, il film non vi dispiacerà. È un po' ostico, bisogna digerirlo per bene e poi capirlo.
XII alla notte di Oz
Programma interventi di XII nella kermesse lodigiana (anzi, tavazzanconvillaveschese):
Saranno presenti diversi autori di XII, tra cui: Giulio Cavalli, Daniele Bonfanti, Luigi Acerbi, Davide Cassia, Francesco Angelo Lanza.
- Inizio Manifestazione:
Breve presentazione dell’Associazione Culturale XII, spiegando chi è, cosa fa, e cosa ci fa alla Notte di Oz. Segnalazione degli interventi all’interno della serata, e dei relativi orari.
- Ore 21.30:
Carrellata sui libri pubblicati nel Primo Catalogo , che saranno a disposizione per tutta la durata della manifestazione su un banco atto allo scopo: il pubblico potrà visionare i libri, sfogliarli liberamente. Volendo, acquistarli. Gli autori dei libri che saranno presenti verranno presentati al pubblico, e saranno pronti a rispondere a eventuali domande o, più semplicemente, a chiacchierare con i presenti.
- A seguire:
Prima sessione di lettura dei Corti . Il pubblico sarà invitato a partecipare attivamente leggendo a turno i racconti. La durata della sessione è variabile; di base potrebbe prolungarsi per mezz’ora.
- Ore 22.30:
Lezione gratuita di scrittura creativa. Si procederà alla lezione se il numero di partecipanti è adeguato (almeno 5 interessati).
La lezione sarà tenuta da Daniele Bonfanti, e verterà sugli “step” nella stesura di un’opera di narrativa. Massima flessibilità e possibilità di adattare temi, tono, livello, in base ai partecipanti (età, preparazione, domande). La lezione sarà improntata a un dialogo, e vuole essere un momento divertente oltre che interessante.
Verranno anche raccolti nominativi di chi eventualmente sarà stimolato a approfondire, e fosse interessato a prendere parte ai corsi e laboratori veri e propri che XII intende organizzare in collaborazione con il Comune di Tavazzano, la Bottega dei Mestieri Teatrali e la biblioteca.
L’idea è che la lezione duri tre quarti d’ora, ma anche qui, sarà possibile sforare.
- Ore 0.00
Seconda sessione di lettura dei Corti. Con le stesse caratteristiche della prima.
Possibilità di prolungare a oltranza.
- Ore piccole:
Improvvisazione totale.
Saranno presenti diversi autori di XII, tra cui: Giulio Cavalli, Daniele Bonfanti, Luigi Acerbi, Davide Cassia, Francesco Angelo Lanza.
- Inizio Manifestazione:
Breve presentazione dell’Associazione Culturale XII, spiegando chi è, cosa fa, e cosa ci fa alla Notte di Oz. Segnalazione degli interventi all’interno della serata, e dei relativi orari.
- Ore 21.30:
Carrellata sui libri pubblicati nel Primo Catalogo , che saranno a disposizione per tutta la durata della manifestazione su un banco atto allo scopo: il pubblico potrà visionare i libri, sfogliarli liberamente. Volendo, acquistarli. Gli autori dei libri che saranno presenti verranno presentati al pubblico, e saranno pronti a rispondere a eventuali domande o, più semplicemente, a chiacchierare con i presenti.
- A seguire:
Prima sessione di lettura dei Corti . Il pubblico sarà invitato a partecipare attivamente leggendo a turno i racconti. La durata della sessione è variabile; di base potrebbe prolungarsi per mezz’ora.
- Ore 22.30:
Lezione gratuita di scrittura creativa. Si procederà alla lezione se il numero di partecipanti è adeguato (almeno 5 interessati).
La lezione sarà tenuta da Daniele Bonfanti, e verterà sugli “step” nella stesura di un’opera di narrativa. Massima flessibilità e possibilità di adattare temi, tono, livello, in base ai partecipanti (età, preparazione, domande). La lezione sarà improntata a un dialogo, e vuole essere un momento divertente oltre che interessante.
Verranno anche raccolti nominativi di chi eventualmente sarà stimolato a approfondire, e fosse interessato a prendere parte ai corsi e laboratori veri e propri che XII intende organizzare in collaborazione con il Comune di Tavazzano, la Bottega dei Mestieri Teatrali e la biblioteca.
L’idea è che la lezione duri tre quarti d’ora, ma anche qui, sarà possibile sforare.
- Ore 0.00
Seconda sessione di lettura dei Corti. Con le stesse caratteristiche della prima.
Possibilità di prolungare a oltranza.
- Ore piccole:
Improvvisazione totale.
Apro gli occhi
Apro gli occhi e sono a letto, ma mi rendo conto di essere anche sulla tazza del cesso e vedo me stesso alzarmi, so di essere in auto, in fila dietro altre auto. Eppure ho la consapevolezza anche di essere seduto davanti al tavolo con in mano un caffè. Non sono diventato pazzo, ma centinaia di me stesso stanno compiendo centinaia di azioni quotidiane, tutte nello stesso istante. Vedo persino un me stesso davanti al pc dell'ufficio. L'unica fisicità che non percepisco è quella nel letto, quella nel letto ha gli occhi chiusi, la figura lì distesa è bianca come le lenzuola, cadaverica, la persona nel letto sembra morta.
Poi apre gli occhi, e tutte quelle parti si ricompongono in quella distesa nel letto.
Apro gli occhi e sono a letto. Ho un senso di nausea, non riesco a trattenere il primo fiotto e vomito oltre il letto. Da quella sostanza espulsa si compone un altro corpo, perfettamente uguale al mio. Anche questo nuovo me stesso incomincia a vomitare e compone un altro me stesso.
E così a catena, finché non mi ritrovo sdraiato nel letto e ogni parte uscita da me si ritrova nell’atto di compiere le azioni della iniziale consapevolezza.
Apro gli occhi.
Poi apre gli occhi, e tutte quelle parti si ricompongono in quella distesa nel letto.
Apro gli occhi e sono a letto. Ho un senso di nausea, non riesco a trattenere il primo fiotto e vomito oltre il letto. Da quella sostanza espulsa si compone un altro corpo, perfettamente uguale al mio. Anche questo nuovo me stesso incomincia a vomitare e compone un altro me stesso.
E così a catena, finché non mi ritrovo sdraiato nel letto e ogni parte uscita da me si ritrova nell’atto di compiere le azioni della iniziale consapevolezza.
Apro gli occhi.
Aldilà (2)
Gianni sta preparando un frullato con asparagi, panettone, cozze e barra Lion. Quando accende il frullatore, la lama incaglia nella barra Lion, schizza fuori dalla sua sede e gli entra direttamente in gola portandosi dietro una fontanella gioiosa di sangue. Muore. Buio. Poi una luce, lontana, fievole. Gianni è speranzoso, capisce che al di là del tunnel che porta verso la luce c'è l'eternità. Allora va fiducioso verso il lucore.
Si ritrova in fila ad un check in, un essere alto un metro e mezzo, verde, con quattro braccia e due antenne sta spuntando i nomi da una lista. Oltre il posto di controllo si intravede il vuoto nero dell'universo.
Si ritrova in fila ad un check in, un essere alto un metro e mezzo, verde, con quattro braccia e due antenne sta spuntando i nomi da una lista. Oltre il posto di controllo si intravede il vuoto nero dell'universo.
Blaze - Stephen King
In Blaze ho ritrovato il King di una volta, quello scrittore ricolmo di passione e creatività che da po' di tempo non leggevo. Grazie tante, direte voi, questo romanzo è targato 1973 ed era stato scritto dalla sua controparte dissociata Richard Bachman. Ha scritto questo romanzo alla fine del ciclo del suo alter-ego, è il quinto dei quattro sfornati da Bachman e mai pubblicato, questo perché l'autore lo riteneva una schifezza.
Poi, come per tante cose, il tempo cambia i punti di vista e King l'ha ritrovato in uno scatolone, l'ha riletto, l'ha revisionato e pubblicato dopo più di trent'anni, adattandolo ai giorni nostri.
E ha fatto un ottimo lavoro, secondo me.
La trama è semplice, lineare e tratteggia la storia di un personaggio, Blaze appunto, che entra nel cuore per rimanerci. Pur essendo un "cattivo", è un antieroe dal cuore buono, spinto sulla via della perdizione dalla sua condizione sociale, dal fatto di essere un po' ritardato e dalla frequentazione di cattive compagnie.
Come già detto, ho ritrovato il King di un tempo, quello brioso, giocoso e colmo di passione per la scrittura, passione che, secondo me, si è un po' affievolita negli anni diventando mestiere. La lettura scivola via veloce, spensierata, ma appassiona. Il plot è suddiviso tra la storia presente e i flashback del passato del protagonista. Gustose tutt'e due.
Blaze, come tutti i personaggi di King, è psicologicamente ineccepibile, costruito con maestria, un personaggio vero, reale, non un eroe da copertina concepito per la storia.
Un romanzo dolce, amaro, a tratti commovente e spesso divertente, con quella sottile ironia tagliente dell'autore.
Insomma, l'avete capito: mi è piaciuto.
Leggetelo se amate il Re.
Poi, come per tante cose, il tempo cambia i punti di vista e King l'ha ritrovato in uno scatolone, l'ha riletto, l'ha revisionato e pubblicato dopo più di trent'anni, adattandolo ai giorni nostri.
E ha fatto un ottimo lavoro, secondo me.
La trama è semplice, lineare e tratteggia la storia di un personaggio, Blaze appunto, che entra nel cuore per rimanerci. Pur essendo un "cattivo", è un antieroe dal cuore buono, spinto sulla via della perdizione dalla sua condizione sociale, dal fatto di essere un po' ritardato e dalla frequentazione di cattive compagnie.
Come già detto, ho ritrovato il King di un tempo, quello brioso, giocoso e colmo di passione per la scrittura, passione che, secondo me, si è un po' affievolita negli anni diventando mestiere. La lettura scivola via veloce, spensierata, ma appassiona. Il plot è suddiviso tra la storia presente e i flashback del passato del protagonista. Gustose tutt'e due.
Blaze, come tutti i personaggi di King, è psicologicamente ineccepibile, costruito con maestria, un personaggio vero, reale, non un eroe da copertina concepito per la storia.
Un romanzo dolce, amaro, a tratti commovente e spesso divertente, con quella sottile ironia tagliente dell'autore.
Insomma, l'avete capito: mi è piaciuto.
Leggetelo se amate il Re.
Il Lettore Seriale
Di libri non so saziarmi. Pagina dopo pagina, riga dopo riga, frase dopo frase, divoro la carta, mi immergo totalmente nella storia e vivo la vita di quegli uomini e di quelle donne che si muovono all'interno del romanzo.
Ne finisco uno e subito devo cominciarne un altro, per saziarmi, parzialmente di storie, di universi, di vite.
Non che io non abbia una vita mia, ho una moglie, due figlie bellissime, una famiglia felice, ma, appena ho attimo di tempo, leggo, o meglio, divoro libri. Sul treno che mi porta al lavoro, nella pausa pranzo, in bagno, a volte di nascosto in ufficio, quando non c'è nessuno e poi a casa, prima di cena, dopo cena e a letto.
Amo i libri, li adoro, assaporo la loro consistenza nel palmo, ne annuso le pagine con quella fragranza di nuovo quando sono appena usciti dalla tipografia e quell'aroma di antico quando riposano da anni su uno scaffale.
Nei week end spesso mi infilo in una libreria, ne cerco sempre di nuove e rimango dentro delle ore, cullato dalla vista dei libri impilati e incasellati per genere, autore, editore. Poi immancabilmente ne compro uno, a volte due, spesso tre. Ma non riesco a saziarmi, non riesco a reprimere questo impulso.
Ho finito un altro romanzo, lo guardo, lo annuso, rileggo la quarta di copertina, scruto di nuovo l'immagine della prima. Mi è piaciuto molto questo libro. E allora strappo la copertina, la riduco in piccoli frammenti e poi la ingoio. Poi le pagine, tutte, da prima all'ultima, giù nello stomaco e per ultima la foto dello scrittore.
Ora mi sento sazio.
Ne finisco uno e subito devo cominciarne un altro, per saziarmi, parzialmente di storie, di universi, di vite.
Non che io non abbia una vita mia, ho una moglie, due figlie bellissime, una famiglia felice, ma, appena ho attimo di tempo, leggo, o meglio, divoro libri. Sul treno che mi porta al lavoro, nella pausa pranzo, in bagno, a volte di nascosto in ufficio, quando non c'è nessuno e poi a casa, prima di cena, dopo cena e a letto.
Amo i libri, li adoro, assaporo la loro consistenza nel palmo, ne annuso le pagine con quella fragranza di nuovo quando sono appena usciti dalla tipografia e quell'aroma di antico quando riposano da anni su uno scaffale.
Nei week end spesso mi infilo in una libreria, ne cerco sempre di nuove e rimango dentro delle ore, cullato dalla vista dei libri impilati e incasellati per genere, autore, editore. Poi immancabilmente ne compro uno, a volte due, spesso tre. Ma non riesco a saziarmi, non riesco a reprimere questo impulso.
Ho finito un altro romanzo, lo guardo, lo annuso, rileggo la quarta di copertina, scruto di nuovo l'immagine della prima. Mi è piaciuto molto questo libro. E allora strappo la copertina, la riduco in piccoli frammenti e poi la ingoio. Poi le pagine, tutte, da prima all'ultima, giù nello stomaco e per ultima la foto dello scrittore.
Ora mi sento sazio.
Ghost Whisperer - Presenze
Mi chiamo Melinda Gordon, sono sposata, abito in una piccola città, ho un negozio di antiquariato. Sono una persona come voi, tranne per il fatto che, fin da bambina, ho scoperto di poter parlare con i morti. Nonna li chiamava spiriti intrappolati sulla Terra, coloro non ancora passati oltre perché hanno dei conti in sospeso con i vivi e vengono a chiedermi aiuto. Per raccontarvi la mia storia, devo raccontarvi la loro.
Questo è il siparietto di apertura di Ghost Whisperer (Presenze), almeno nella prima e nella seconda serie. Melinda Gordon è la bella, affascinante e formosa Jennifer Love Hewitt, attrice, cantante, l'ho potuta apprezzare in If Only, film niente male e in altre apparizioni cinematografiche come Gardfield.
Come già vi ha anticipato l'ouverture, nella serie andata in onda in Italia, Melinda abita in una piccola città, ha un negozio di antiquariato e, porca vacca, lei è come noi, tranne il piccolo particolare che vede e parla con i morti... e scusate se è poco.
Visto così potrebbe sembrare un Sesto Senso in gonnella, sa di già visto, già sentito. Mi sono imbattuto per caso in una delle prime puntate e non mi sono più staccato. Perché, a parte il piacere di vedere l'attrice in una serie infinita di abitini che neanche un grande magazzino ha e che ne risaltano il décolleté, la serie è comunque piacevole.
Il plot è sempre lo stesso, lei viene contattata da un fantasma che non riesce a passare oltre, verso la luce (originale, eh?), all'inizio il fantasma è aggressivo o disperato perché non comprende la situazione, perché ha lasciato degli affari in sospeso nel nostro piano dimensionale e Melinda lo aiuta cercando di indagare sul suo passato e sulla sua vita, fino al lieto fine, in cui tutto si risolve e l'estinto trapassa.
Intorno a Melinda gravitano i comprimari, come il marito, che la ama tantissimo, ma tanto tanto, perché le perdona tutto, persino quando va a intrufolarsi in casini galattici e lui, buon samaritano, la tira fuori dai guai. Nella prima serie questa bontà non da fastidio, nella seconda incomincia a dare sui nervi e vien voglia di vederlo incazzato qualche volta, ma non sperateci.
Poi c'è il professore/scienziato che l'aiuta a decifrare i segnali che le giungono dall'aldilà è questa figura è più divertente, cinica, nonostante scopra che il paranormale è un fattaccio concreto, e sarcastica al punto giusto.
Oltre al plot di puntata ne esiste anche uno che tiene insieme tutti i pezzi della serie, un fil rouge che incolla lo spettatore allo schermo e che non svelerò per non spoilerare, ovviamente.
In linea di massima Ghost Whisperer è piacevole, anche se sa di già visto, una minestra mescolata con qualche ingrediente in più, ma nulla da far gridare al miracolo o strapparsi i capelli. Alla lunga poi la trama seriale delle puntate un po' stanca e a volte vira un po' verso il ridicolo. Inoltre, come già ribadito, alcuni personaggi (vedi alla voce Marito) andrebbero rivisti, con un po' più di personalità e di palle, come dicono dalle mie parti.
Se vi piace il genere, amate J.L. Hewitt e le storie misteriose con fantasmi annessi, allora GW fa per voi, in caso contrario non fatevi venire i rimorsi se ve lo siete perso.
Questo è il siparietto di apertura di Ghost Whisperer (Presenze), almeno nella prima e nella seconda serie. Melinda Gordon è la bella, affascinante e formosa Jennifer Love Hewitt, attrice, cantante, l'ho potuta apprezzare in If Only, film niente male e in altre apparizioni cinematografiche come Gardfield.
Come già vi ha anticipato l'ouverture, nella serie andata in onda in Italia, Melinda abita in una piccola città, ha un negozio di antiquariato e, porca vacca, lei è come noi, tranne il piccolo particolare che vede e parla con i morti... e scusate se è poco.
Visto così potrebbe sembrare un Sesto Senso in gonnella, sa di già visto, già sentito. Mi sono imbattuto per caso in una delle prime puntate e non mi sono più staccato. Perché, a parte il piacere di vedere l'attrice in una serie infinita di abitini che neanche un grande magazzino ha e che ne risaltano il décolleté, la serie è comunque piacevole.
Il plot è sempre lo stesso, lei viene contattata da un fantasma che non riesce a passare oltre, verso la luce (originale, eh?), all'inizio il fantasma è aggressivo o disperato perché non comprende la situazione, perché ha lasciato degli affari in sospeso nel nostro piano dimensionale e Melinda lo aiuta cercando di indagare sul suo passato e sulla sua vita, fino al lieto fine, in cui tutto si risolve e l'estinto trapassa.
Intorno a Melinda gravitano i comprimari, come il marito, che la ama tantissimo, ma tanto tanto, perché le perdona tutto, persino quando va a intrufolarsi in casini galattici e lui, buon samaritano, la tira fuori dai guai. Nella prima serie questa bontà non da fastidio, nella seconda incomincia a dare sui nervi e vien voglia di vederlo incazzato qualche volta, ma non sperateci.
Poi c'è il professore/scienziato che l'aiuta a decifrare i segnali che le giungono dall'aldilà è questa figura è più divertente, cinica, nonostante scopra che il paranormale è un fattaccio concreto, e sarcastica al punto giusto.
Oltre al plot di puntata ne esiste anche uno che tiene insieme tutti i pezzi della serie, un fil rouge che incolla lo spettatore allo schermo e che non svelerò per non spoilerare, ovviamente.
In linea di massima Ghost Whisperer è piacevole, anche se sa di già visto, una minestra mescolata con qualche ingrediente in più, ma nulla da far gridare al miracolo o strapparsi i capelli. Alla lunga poi la trama seriale delle puntate un po' stanca e a volte vira un po' verso il ridicolo. Inoltre, come già ribadito, alcuni personaggi (vedi alla voce Marito) andrebbero rivisti, con un po' più di personalità e di palle, come dicono dalle mie parti.
Se vi piace il genere, amate J.L. Hewitt e le storie misteriose con fantasmi annessi, allora GW fa per voi, in caso contrario non fatevi venire i rimorsi se ve lo siete perso.
Amazon Kindle
Jeff Bezos, il boss di Amazon, ha presentato lunedì 19 novembre alla stampa e al mondo Amazon Kindle, lettore di libri elettronici.
Avrà le dimensioni di un libro tascabile, con uno schermo digitale e il prezzo si aggirerà intorno ai 399 dollari (circa 275 euro, iva esclusa).
I titoli disponibili sono tantissimi, quasi novantamila, acquistabili con diverse formule.
Ovviamente non è solo un banale lettore, ma dispone di una memoria flash che potrà archiviare più di 200 titoli (memoria espandibile) e di connessione senza fili, così sarà possibile connettersi alla rete e scaricare le opere da Amazon.
Che dire? Non è il primo tentativo di supporto per e-book, già in passato c'avevano provato ed è sempre stato un colossale flop. Perché dovrebbe funzionare adesso?
I tempi forse sono maturi, la gente si è pian piano abituata a internet e a leggere a video, quindi, forse, una speranza c'è per amazon, che ha investito molto su questo progetto.
I lettori e gli editori storcono il naso, quasi tutti siamo affezionati al caro e buon vecchio tomo cartaceo, ma questo panico tecnofobo serpeggiava anche ai tempi della prima locomotiva, della prima auto, della radio, della televisione, del computer e di internet.
Non fraintendete, io amo i libri nella loro forma cartacea, li subisco e li sorbisco fisicamente, adoro il profumo che hanno appena usciti di stampa, mi piace sfogliarli, leggerli, sentire il fruscio delle pagine. Ho rapporto molto fisico con i libri.
Dico solo che non bisogna mai dire mai, metti caso che fra qualche anno il mercato comincia a girare verso questa innovazione, noi che facciamo? Stiamo alla porta a guardare.
E se mi diventa come l'Ipod?
Meditiamo.
Avrà le dimensioni di un libro tascabile, con uno schermo digitale e il prezzo si aggirerà intorno ai 399 dollari (circa 275 euro, iva esclusa).
I titoli disponibili sono tantissimi, quasi novantamila, acquistabili con diverse formule.
Ovviamente non è solo un banale lettore, ma dispone di una memoria flash che potrà archiviare più di 200 titoli (memoria espandibile) e di connessione senza fili, così sarà possibile connettersi alla rete e scaricare le opere da Amazon.
Che dire? Non è il primo tentativo di supporto per e-book, già in passato c'avevano provato ed è sempre stato un colossale flop. Perché dovrebbe funzionare adesso?
I tempi forse sono maturi, la gente si è pian piano abituata a internet e a leggere a video, quindi, forse, una speranza c'è per amazon, che ha investito molto su questo progetto.
I lettori e gli editori storcono il naso, quasi tutti siamo affezionati al caro e buon vecchio tomo cartaceo, ma questo panico tecnofobo serpeggiava anche ai tempi della prima locomotiva, della prima auto, della radio, della televisione, del computer e di internet.
Non fraintendete, io amo i libri nella loro forma cartacea, li subisco e li sorbisco fisicamente, adoro il profumo che hanno appena usciti di stampa, mi piace sfogliarli, leggerli, sentire il fruscio delle pagine. Ho rapporto molto fisico con i libri.
Dico solo che non bisogna mai dire mai, metti caso che fra qualche anno il mercato comincia a girare verso questa innovazione, noi che facciamo? Stiamo alla porta a guardare.
E se mi diventa come l'Ipod?
Meditiamo.
On Writing - Stephen King
Mi è ricapitato sottomano i questi giorni e mi è venuta voglia di rileggerlo e di scriverci un pezzo.
Il sottoscritto, come penso la maggior parte degli scrittori, ha passato fasi alterne di passione, creatività sfrenata, ispirazione scarsa o inesistente. Nei primi anni novanta ero molto più sognatore di adesso, scrivevo già dall'età di 12 anni, pezzi veramente imbarazzanti, e avevo già all'attivo due romanzi fantasy, naturalmente nel cassetto.
Poi scrissi il mio primo thriller nel '91: una ciofeca totale. Nel '92 scrissi La Prigionia del Cielo e ci misi veramente passione e in effetti è una delle trame migliori, a mio giudizio, che io abbia mai elaborato. Poi altri tentativi e nel '93 Morte di un Perdente.
Da quel momento in poi il buio più totale. Avevo perso la fiducia nei miei mezzi, mi ero scontrato con il duro mondo dell'editoria e soprattutto non vedevo i miei limiti, non capivo perché nessuno mi desse retta a parte un piccolo gruppo di amici.
E non scrissi quasi più niente.
Poi nel 2000 mi viene regalato On Writing dalla mia dolce metà. E, amici, questo libri mi ha fatto ritornare la voglia di scrivere. Nel giro di 3 anni ho scritto ben 5 romanzi.
Chiunque ami scrivere o abbia velleità da imbrattacarte deve leggerlo. Non importa se non vi piace King. Se siete scrittori o aspiranti tali, in questo libro leggerete la vita di un autore che è partito dal nulla, solo con un sogno e con una passione viscerale ed è diventato uno degli scrittori più letti al mondo.
King parla della sua vita e in questo modo anche del mestiere di scrittore, dedicando anche diversi capitoli alla metodologia e alla tecnica, naturalmente la sua tecnica, anche se analizza vari aspetti del mestiere.
Affascinante, coinvolgente, divertente, non dovrebbe mancare nella collezione di uno scrittore.
Il sottoscritto, come penso la maggior parte degli scrittori, ha passato fasi alterne di passione, creatività sfrenata, ispirazione scarsa o inesistente. Nei primi anni novanta ero molto più sognatore di adesso, scrivevo già dall'età di 12 anni, pezzi veramente imbarazzanti, e avevo già all'attivo due romanzi fantasy, naturalmente nel cassetto.
Poi scrissi il mio primo thriller nel '91: una ciofeca totale. Nel '92 scrissi La Prigionia del Cielo e ci misi veramente passione e in effetti è una delle trame migliori, a mio giudizio, che io abbia mai elaborato. Poi altri tentativi e nel '93 Morte di un Perdente.
Da quel momento in poi il buio più totale. Avevo perso la fiducia nei miei mezzi, mi ero scontrato con il duro mondo dell'editoria e soprattutto non vedevo i miei limiti, non capivo perché nessuno mi desse retta a parte un piccolo gruppo di amici.
E non scrissi quasi più niente.
Poi nel 2000 mi viene regalato On Writing dalla mia dolce metà. E, amici, questo libri mi ha fatto ritornare la voglia di scrivere. Nel giro di 3 anni ho scritto ben 5 romanzi.
Chiunque ami scrivere o abbia velleità da imbrattacarte deve leggerlo. Non importa se non vi piace King. Se siete scrittori o aspiranti tali, in questo libro leggerete la vita di un autore che è partito dal nulla, solo con un sogno e con una passione viscerale ed è diventato uno degli scrittori più letti al mondo.
King parla della sua vita e in questo modo anche del mestiere di scrittore, dedicando anche diversi capitoli alla metodologia e alla tecnica, naturalmente la sua tecnica, anche se analizza vari aspetti del mestiere.
Affascinante, coinvolgente, divertente, non dovrebbe mancare nella collezione di uno scrittore.
Mi Fido di Te - Ale & Franz
La coppia Alex e Franz dopo l'infelice esordio cinematografico del 2005 con La Terza stella ci ha riprovato nel 2006 con questo Mi fido di te.
Abituati a vederli in gag esilaranti sul palco di Zelig e poi in televisione con un loro spettacolo, si viene un po' spiazzati dall'inizio malinconico del film. Sì, perché Franz è un manager rampante che ha perso il lavoro da 1 mese e si è ridotto a lavorare come benzinaio e come "omino dell'acqua" - quello che consegna la minerale - e Alex è disoccupato, campa di piccole truffe e deve dei soldi a degli strozzini che gli vogliono fare la pelle. Tutt'e due non lo vogliono far sapere alle rispettivi consorti - Franz ha una famiglia, due bambini e un mutuo da pagare, Alex una fidanzata che non gli crede più e lo lascia.
I due si incontrano per caso e mescolano le loro abilità per "lavorare" a truffe sempre più elaborate.
Il film funziona, nonostante una certa tristezza che aleggia soprattutto nella prima mezz'ora del film, stemperata lievemente da qualche spiritosaggine dei due. Si riflette sulla condizione precaria del lavoro in Italia, sulla vita, sull'amicizia e sull'amore, quei valori fondamentali che ogni uomo dovrebbe conquistare e avere. L'intreccio non stanca, supportato ottimamente anche dalla controparte femminile (Lucia Ocone e Maddalena Maggi), che gioca un ruolo fondamentale nella risoluzione del finale.
Posso dire con certezza che il duo ha centrato l'obbiettivo al secondo tentativo, supportato anche da Massimo Venier che aveva dato lustro a diversi film di Aldo, Giovanni e Giacomo.
Una storia agrodolce che non mancherà di far divertire, riflettere e godere di un'ora mezza di buon intrattenimento.
Abituati a vederli in gag esilaranti sul palco di Zelig e poi in televisione con un loro spettacolo, si viene un po' spiazzati dall'inizio malinconico del film. Sì, perché Franz è un manager rampante che ha perso il lavoro da 1 mese e si è ridotto a lavorare come benzinaio e come "omino dell'acqua" - quello che consegna la minerale - e Alex è disoccupato, campa di piccole truffe e deve dei soldi a degli strozzini che gli vogliono fare la pelle. Tutt'e due non lo vogliono far sapere alle rispettivi consorti - Franz ha una famiglia, due bambini e un mutuo da pagare, Alex una fidanzata che non gli crede più e lo lascia.
I due si incontrano per caso e mescolano le loro abilità per "lavorare" a truffe sempre più elaborate.
Il film funziona, nonostante una certa tristezza che aleggia soprattutto nella prima mezz'ora del film, stemperata lievemente da qualche spiritosaggine dei due. Si riflette sulla condizione precaria del lavoro in Italia, sulla vita, sull'amicizia e sull'amore, quei valori fondamentali che ogni uomo dovrebbe conquistare e avere. L'intreccio non stanca, supportato ottimamente anche dalla controparte femminile (Lucia Ocone e Maddalena Maggi), che gioca un ruolo fondamentale nella risoluzione del finale.
Posso dire con certezza che il duo ha centrato l'obbiettivo al secondo tentativo, supportato anche da Massimo Venier che aveva dato lustro a diversi film di Aldo, Giovanni e Giacomo.
Una storia agrodolce che non mancherà di far divertire, riflettere e godere di un'ora mezza di buon intrattenimento.
I Corti di XII - Il Colpo di Giordano Efrodini
Un colpo? Cosa potrà mai voler dire un racconto della raccolta Corti con questo titolo? Una rapina in banca, un malore improvviso e fulminante o qualcosa d'altro?
Non vi resta che provare a leggerlo e scoprire cosa voleva rappresentare Giordano Efrodini.
- Autore: Giordano Efrodini
- Corto: Il Colpo
- Categoria: Welter (1800 caratteri)
Non vi resta che provare a leggerlo e scoprire cosa voleva rappresentare Giordano Efrodini.
- Autore: Giordano Efrodini
- Corto: Il Colpo
- Categoria: Welter (1800 caratteri)
SBONK! Un altro colpo, più delicato dei precedenti. La spinta mi catapulta in avanti. Di nuovo, non ho il tempo di capire. Avanti, giù, in dietro, su. Il mondo mi gira sopra e sotto. Avanti, giù, in dietro, su. Tutto al rallentatore, una spietata moviola. E con la coda dell’occhio, sembra che il mondo rotoli con precisione. Alberi e colline, acqua e sabbia. Non mi dice nulla, un paesaggio che è deserto, pianura e collina. Di nuovo, sembra non finire. Come me, che vado chissà dove. Rotolo sull’erba e non capisco cosa succede. Chi mi ha colpito? Dove sono? Quando mi fermerò? Cos’è quello? Mio dio, cos’è quello? Vedo un burrone, un fosso, un buco perfetto al centro della pianura. Cerco di aggrapparmi a qualcosa, ma non ci riesco. Qui c’è solo erba, corta e verde erba di un colore troppo acceso. Ci rotolo sopra, verso un breve infinito. Il mondo è verde, azzurro, nero, verde, azzurro… cambia colore come un camaleonte impazzito che pigramente rotola sulla vernice, e invece sono io che rotolo e i colori mi turbinano intorno. E poi, cado. Buio, solo buio. E un cerchio azzurro sulla mia testa. L’Infinito, non così profondo.
Poi, una voce: «Bel colpo, Marv!»
«Credevo di non farcela.» Risponde, affaticato, l’altro.
«Oh, avanti… non sei di molto sopra al par, possiamo recuperare.»
Con un sorriso incerto, l’altro si lascia convincere: «Okay, mancano molte buche. Continuiamo.»
Io odio il golf!
Poi, una voce: «Bel colpo, Marv!»
«Credevo di non farcela.» Risponde, affaticato, l’altro.
«Oh, avanti… non sei di molto sopra al par, possiamo recuperare.»
Con un sorriso incerto, l’altro si lascia convincere: «Okay, mancano molte buche. Continuiamo.»
Io odio il golf!
L'Ultimo Inquisitore (Goya's Ghosts)
Siamo in Spagna negli ultimi anni del 1700, nella penisola iberica è ancora molto potente la Chiesa di Roma, che comunque vede anno dopo anno affievolirsi la fede e la fiducia degli uomini nei suoi confronti.
Così la Santa Inquisizione, ancora esistente e ancora subdolamente capace di seminare terrore nella plebe, decide di tornare ai vecchi metodi e imprigionare e torturare chi è sospettato di eresia. Fautore di questo reazionarismo è Lorenzo, inquisitore che sfrutterà il suo potere per i propri spregevoli interessi personali.
Ne fa le spese, Ines, pulzella di una ricca famiglia di commercianti e musa ispiratrice di Francisco Goya, pittore di corte, che viene imprigionata con un'accusa ingiusta e assurda. Da questa vicenda tragica nasce e si sviluppa poi tutto il complesso intreccio del film.
Milos Forman torna alla regia dopo diversi anni di assenza dalla scena, dopo capolavori come Amadeus e Qualcuno volò sul nido del cuculo e dipinge, e proprio il caso di dirlo, un film dai tratti cupi e forti, che narra di un'era cupa che non vuole morire, ma, suo malgrado, è costretta a fare in conti con un mondo che sta evolvendo forse troppo velocemente. E, come tutte le rivoluzioni, questa porterà terrore, distruzione e morte.
L'Ultimo Inquisitore (Goya's Ghosts) è un film che inquieta, fa riflettere e alla fine lascia un po' storditi. La trama è coinvolgente, suscita emozioni, tra l'indignazione e lo stupore e non cade mai di tono. Bello anche l'affresco storico e la metodologia pittorica di Goya, descritta quasi come un documentario.
Insomma, un film da vedere sicuramente.
Così la Santa Inquisizione, ancora esistente e ancora subdolamente capace di seminare terrore nella plebe, decide di tornare ai vecchi metodi e imprigionare e torturare chi è sospettato di eresia. Fautore di questo reazionarismo è Lorenzo, inquisitore che sfrutterà il suo potere per i propri spregevoli interessi personali.
Ne fa le spese, Ines, pulzella di una ricca famiglia di commercianti e musa ispiratrice di Francisco Goya, pittore di corte, che viene imprigionata con un'accusa ingiusta e assurda. Da questa vicenda tragica nasce e si sviluppa poi tutto il complesso intreccio del film.
Milos Forman torna alla regia dopo diversi anni di assenza dalla scena, dopo capolavori come Amadeus e Qualcuno volò sul nido del cuculo e dipinge, e proprio il caso di dirlo, un film dai tratti cupi e forti, che narra di un'era cupa che non vuole morire, ma, suo malgrado, è costretta a fare in conti con un mondo che sta evolvendo forse troppo velocemente. E, come tutte le rivoluzioni, questa porterà terrore, distruzione e morte.
L'Ultimo Inquisitore (Goya's Ghosts) è un film che inquieta, fa riflettere e alla fine lascia un po' storditi. La trama è coinvolgente, suscita emozioni, tra l'indignazione e lo stupore e non cade mai di tono. Bello anche l'affresco storico e la metodologia pittorica di Goya, descritta quasi come un documentario.
Insomma, un film da vedere sicuramente.
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Da oggi è possibile ordinare i libri del primo catalogo di XII usufruendo di uno speciale sconto del 15% su tutti i titoli.
Inoltre vi informo che le spese di spedizione sono gratuite per acquisti superiori ai 18 euro - un paio di libri.
Buona lettura.
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M.A.CA.P. (4)
Una volta in Italia era la religione a muovere le masse
Negli anni '70 era la politica.
Ribellioni, scontri, terrorismo.
Oggi le masse si muovono per uno sport:
Il Calcio.
Gruppi di violenti, mossi da una qualsiasi causa, giusta o sbagliata che sia, si sentono liberi di seminare distruzione e violenza.
Cosa succederebbe se le partite di calcio fossero sospese per un anno?
Sommossa popolare, immagino.
Niente più ideali
Niente più eroi
Solo una palla che rotola.
E il governo come reagisce? Sospendendo per una giornata il campionato di B e C, visto che quello di A doveva comunque fermarsi per la Nazionale.
Bella farsa.
Negli anni '70 era la politica.
Ribellioni, scontri, terrorismo.
Oggi le masse si muovono per uno sport:
Il Calcio.
Gruppi di violenti, mossi da una qualsiasi causa, giusta o sbagliata che sia, si sentono liberi di seminare distruzione e violenza.
Cosa succederebbe se le partite di calcio fossero sospese per un anno?
Sommossa popolare, immagino.
Niente più ideali
Niente più eroi
Solo una palla che rotola.
E il governo come reagisce? Sospendendo per una giornata il campionato di B e C, visto che quello di A doveva comunque fermarsi per la Nazionale.
Bella farsa.
Capitano Alatriste - Arturo Pérez-Reverte
Di Arturo Pérez-Reverte ho letto Il Club Dumas, romanzo eccezionale da cui è stato tratto il mediocre film La Nona Porta con Johnny Depp, e La Tavola Fiamminga, che ho apprezzato, pur essendo decisamente inferiore al primo.
Mi sono avvicinato al Capitano Alatriste appunto perché stimo l'autore e mi piace lo stile con cui pennella le sue storie. Questo romanzo parla di Diego Alatriste y Tenorio, soldato di mille battaglie costretto a campare come mercenario sullo sfondo di una Madrid del diciassettesimo secolo, colma di corruzione e capitale di un impero in declino. Il costrutto della narrazione è affidato ad un ragazzino che ha la sventura, o la fortuna, di essere affidato al capitano per una promessa fatta ad un compagno d'arme. Il ragazzino scrive un diario sulle gesta dello spadaccino e così la storia si forma.
Non so se il "vago" riferimento a Dumas sia voluto, ma sinceramente il romanzo non mi ha entusiasmato e perde sicuramente al confronto, anche se, probabilmente, non è giusto farlo tra opere scritte in tempi così diversi e distanti.
Lo stile dell'autore tiene su la narrazione di un romanzo troppo lineare e prevedibile, con personaggi stereotipati, a partire dal protagonista.
Mi aspettavo di più, devo essere sincero, e per questo mi ha deluso. Capitano Alatriste è il primo di una serie di opere dedicate a questo personaggio, probabilmente le leggerò in futuro e saprò delinearne un quadro più completo.
Sta di fatto, come ho già ribadito, che quest'opera poteva dare di più.
Mi sono avvicinato al Capitano Alatriste appunto perché stimo l'autore e mi piace lo stile con cui pennella le sue storie. Questo romanzo parla di Diego Alatriste y Tenorio, soldato di mille battaglie costretto a campare come mercenario sullo sfondo di una Madrid del diciassettesimo secolo, colma di corruzione e capitale di un impero in declino. Il costrutto della narrazione è affidato ad un ragazzino che ha la sventura, o la fortuna, di essere affidato al capitano per una promessa fatta ad un compagno d'arme. Il ragazzino scrive un diario sulle gesta dello spadaccino e così la storia si forma.
Non so se il "vago" riferimento a Dumas sia voluto, ma sinceramente il romanzo non mi ha entusiasmato e perde sicuramente al confronto, anche se, probabilmente, non è giusto farlo tra opere scritte in tempi così diversi e distanti.
Lo stile dell'autore tiene su la narrazione di un romanzo troppo lineare e prevedibile, con personaggi stereotipati, a partire dal protagonista.
Mi aspettavo di più, devo essere sincero, e per questo mi ha deluso. Capitano Alatriste è il primo di una serie di opere dedicate a questo personaggio, probabilmente le leggerò in futuro e saprò delinearne un quadro più completo.
Sta di fatto, come ho già ribadito, che quest'opera poteva dare di più.
Get a Life!
Rino Gaetano - Fiction sulla Rai
Domenica e ieri (Lun 13 nov) in prima serata è andato in onda un film per la tv dedicato al cantautore Rino Gaetano, tragicamente scomparso in un incidente stradale nel giugno del 1981.
La fiction traccia un quadro del cantante che dovette fare i conti con lo show-biz e con la vita da star ribelle a cui non era pronto e che lo allontanò da tutti.
A quanto dice il regista e co-autore Marco Turco la storia è romanzata, ad esempio non si parla della sorella, e quindi qualcosa è stato adattato per esigenze di copione, ma comunque il film funziona e diverte.
È spumeggiante, interessante, senza mai un calo di tono e traccia la vita del cantautore cercando di coglierne i fatti salienti. Il ritmo della narrazione coinvolge e appassiona, legando lo spettatore allo schermo e facendolo affezionare al personaggio.
Bravissimo Claudio Santamaria, l'attore che interpreta Rino, e che riesce a rappresentarlo magistralmente, arrivando persino a imitarne le movenze e a cantare, credo in playback, ma in modo realistico le canzoni nel film. Molto sentita, molto sincera e bene interpretata la sua parte. Anche gli altri attori non sfigurano, anzi, mi hanno convinto Kasia Smutniak (Irene) e Thomas Trabacchi (Michele), forse quella che deve maturare ancora come attrice è Laura Chiatti, che non mi è piaciuta del tutto.
Una prodotto di ottima qualità che spicca in una televisione che offre ben poco di questi tempi, una perla rara in mezzo a ciarpame di bassa bigiotteria.
Un peccato per chi se l'è perso, ma forse verrà riproposto in futuro, magari anche in dvd.
La fiction traccia un quadro del cantante che dovette fare i conti con lo show-biz e con la vita da star ribelle a cui non era pronto e che lo allontanò da tutti.
A quanto dice il regista e co-autore Marco Turco la storia è romanzata, ad esempio non si parla della sorella, e quindi qualcosa è stato adattato per esigenze di copione, ma comunque il film funziona e diverte.
È spumeggiante, interessante, senza mai un calo di tono e traccia la vita del cantautore cercando di coglierne i fatti salienti. Il ritmo della narrazione coinvolge e appassiona, legando lo spettatore allo schermo e facendolo affezionare al personaggio.
Bravissimo Claudio Santamaria, l'attore che interpreta Rino, e che riesce a rappresentarlo magistralmente, arrivando persino a imitarne le movenze e a cantare, credo in playback, ma in modo realistico le canzoni nel film. Molto sentita, molto sincera e bene interpretata la sua parte. Anche gli altri attori non sfigurano, anzi, mi hanno convinto Kasia Smutniak (Irene) e Thomas Trabacchi (Michele), forse quella che deve maturare ancora come attrice è Laura Chiatti, che non mi è piaciuta del tutto.
Una prodotto di ottima qualità che spicca in una televisione che offre ben poco di questi tempi, una perla rara in mezzo a ciarpame di bassa bigiotteria.
Un peccato per chi se l'è perso, ma forse verrà riproposto in futuro, magari anche in dvd.
I Corti di XII - Aldilà di Davide Cassia
Cosa ci aspetta dopo la morte? Questo interrogativo frulla nella testa degli uomini da tempi immemorabili.
Davide Cassia cerca di darcene una sua versione nel racconto Aldilà tratto dalla raccolta Corti:
- Autore: Davide Cassia
- Corto: Aldilà
- Categoria: Mosca (600 caratteri)
Gianni affronta la curva a velocità troppo alta, perde il controllo dell’Ape Car e si schianta con violenza spropositata contro il guardrail. Muore.
Buio.
Poi una luce, lontana, fievole. Si incammina verso di essa, la luce si fa più vivida. È un tunnel. Gianni ora corre verso la luce, sente una musica, celestiale, delle voci e delle sagome al di là del bagliore.
Corre e sfocia in uno studio televisivo illuminato da mille riflettori.
«Ecco a voi il primo concorrente del reality Paradiseee! Gianniii!»
Davide Cassia cerca di darcene una sua versione nel racconto Aldilà tratto dalla raccolta Corti:
- Autore: Davide Cassia
- Corto: Aldilà
- Categoria: Mosca (600 caratteri)
Gianni affronta la curva a velocità troppo alta, perde il controllo dell’Ape Car e si schianta con violenza spropositata contro il guardrail. Muore.
Buio.
Poi una luce, lontana, fievole. Si incammina verso di essa, la luce si fa più vivida. È un tunnel. Gianni ora corre verso la luce, sente una musica, celestiale, delle voci e delle sagome al di là del bagliore.
Corre e sfocia in uno studio televisivo illuminato da mille riflettori.
«Ecco a voi il primo concorrente del reality Paradiseee! Gianniii!»
Una morte inutile?
Quel che è successo ieri, cioè la morte del tifoso laziale Gabriele Sandri per un proiettile vagante (questo lo stabilirà la questura), traccia un quadro allarmante dello stato di povertà intellettuale e politica in cui versa il nostro povero paese.
Per la maggior parte degli italiani esiste solo e solamente il calcio e nient'altro.
Il calcio come religione
Il calcio come cibo
Il calcio come tutto.
È ora di finirla, bisogna prendere provvedimenti seri, a partire dalla base e non sopprimendo i facironosi e basta.
Come già detto in questo post del 12 febbraio, il calcio andrebbe fermato, per un bel pezzo, ed epurato.
Mi vien quasi voglia di crearlo veramente il M.A.CA.P.
macap1
macap2
macap3
Nuovo Oppio
Per la maggior parte degli italiani esiste solo e solamente il calcio e nient'altro.
Il calcio come religione
Il calcio come cibo
Il calcio come tutto.
È ora di finirla, bisogna prendere provvedimenti seri, a partire dalla base e non sopprimendo i facironosi e basta.
Come già detto in questo post del 12 febbraio, il calcio andrebbe fermato, per un bel pezzo, ed epurato.
Mi vien quasi voglia di crearlo veramente il M.A.CA.P.
macap1
macap2
macap3
Nuovo Oppio
The Hoax - L'imbroglio
The Hoax narra la vicenda vera dello scrittore Clifford Irving che tentò negli anni settanta di raggirare uno dei più grandi editori americani con la biografia autorizzata di Howard Hughes (quello di The Aviator, per intenderci), che in realtà tanto autorizzata non era, visto che alla vigilia della pubblicazione Hughes denunciò l'autore che si fece due anni di galera.
La trama zoppica, in alcuni punti diventa noiosa, e solo in pochi parti l'interesse dello spettatore viene catturato come si deve. D'altronde non dev'essere facile raccontare in due ore di film una vicenda che di colpi di scena non ne ha tantissimi, se non la visione romanzata e allucinata che ne fa il regista in alcuni punti e che risulta un po' stucchevole. Si notano i tempi morti, la narrazione annacquata e dilatata e, nell'interregno tra i vari fatti, gli sbadigli si moltiplicano.
La recitazione di Gere, a mio parere, non è eccelsa e a essere sinceri, a parte la beltà, non è che mi sia mai piaciuto più di tanto. Sembra un fantoccio con poche espressioni e in questa parte è poco credibile.
Molto meglio Alfred Molina, che mette in ombra l'ex american gigolo, non che ci volesse molto, ma in lui si vede l'attore, la parte recitata, l'impegno profuso rispetto a Gere, cioè uno che si è fatto il mazzo perché fondamentalmente non è un Adone.
In fin della fiera: se non siete proprio interessati alla vicenda reale di quegli anni, lasciate perdere e noleggiate un altro film.
La trama zoppica, in alcuni punti diventa noiosa, e solo in pochi parti l'interesse dello spettatore viene catturato come si deve. D'altronde non dev'essere facile raccontare in due ore di film una vicenda che di colpi di scena non ne ha tantissimi, se non la visione romanzata e allucinata che ne fa il regista in alcuni punti e che risulta un po' stucchevole. Si notano i tempi morti, la narrazione annacquata e dilatata e, nell'interregno tra i vari fatti, gli sbadigli si moltiplicano.
La recitazione di Gere, a mio parere, non è eccelsa e a essere sinceri, a parte la beltà, non è che mi sia mai piaciuto più di tanto. Sembra un fantoccio con poche espressioni e in questa parte è poco credibile.
Molto meglio Alfred Molina, che mette in ombra l'ex american gigolo, non che ci volesse molto, ma in lui si vede l'attore, la parte recitata, l'impegno profuso rispetto a Gere, cioè uno che si è fatto il mazzo perché fondamentalmente non è un Adone.
In fin della fiera: se non siete proprio interessati alla vicenda reale di quegli anni, lasciate perdere e noleggiate un altro film.
Nei Boschi Eterni - Fred Vargas
Nei boschi eterni, o meglio, dans les bois éternels, perché trattasi di autrice francese, è un noir uscito nel 2006; in Italia 2007 con Einaudi.
Autrice, sì, non fatevi tranne in inganno, perché dietro lo pseudonimo si nasconde una scrittrice che in realtà di mestiere fa la zooarcheologa medievalista (non chiedetemi che tipo di lavoro sia, forse è un'Indiana Jones in gonnella alla ricerca di ossa di animali del medioevo).
L'approccio non è stato dei più semplici, ho avuto difficoltà a immergermi all'inizio nella storia e nel mondo creato dall'autrice, e il suo protagonista, il commissario Adamsberg, a volte mi pareva un idiota completo.
Ho dovuto ricredermi, sono stato piacevolmente smentito. Uno dei tanti punti forti di questo romanzo, e immagino anche dei precedenti, è proprio la caratterizzazione dei personaggi. Sono tutti convincenti e con caratteristiche marcate, distinguibili, che li rendono unici.
Adamsberg è uno spalatore di nuvole (cit.) e conduce le indagini con una metodologia tutta sua, anzi, quasi con l'assenza della stessa, divagando su concetti apparentemente senza nessun nesso logico, ma arrivando poi all'intuizione giusta.
Strepitosi anche i comprimari, tra cui spicca la figura di Danglard, comandante dalla mostruosa cultura che incanala nei giusti binari il commissario quando deraglia pericolosamente e che lo aiuta in ogni situazione pur non approvando tutte le sue scelte e quella di Veyrac, poliziotto misterioso appena giunto nelle schiere dell'Anticrimine, e che ha il vizio di mettere in versi qualsiasi fatto gli accada e nella narrazione è veramente divertente da leggere, nonostante sia passata anche al setaccio della traduzione.
Oltre all'ottima caratterizzazione dei personaggi, il romanzo è supportato anche da una trama notevole, intessuta con maestria e che riallaccia tutti i fili che sembravano senza senso ad un finale che sorprende. Un noir che scorre veloce, piacevole da leggere e che non annoia mai.
Tirando le somme: nei boschi eterni mi è piaciuto, non mi ha fatto saltare sulla sedia o gridare al miracolo, ma mi ha fatto passare ore piacevoli, ed è quello che, a mio parere, un buon libro deve fare.
Lo consiglio a tutti.
Autrice, sì, non fatevi tranne in inganno, perché dietro lo pseudonimo si nasconde una scrittrice che in realtà di mestiere fa la zooarcheologa medievalista (non chiedetemi che tipo di lavoro sia, forse è un'Indiana Jones in gonnella alla ricerca di ossa di animali del medioevo).
L'approccio non è stato dei più semplici, ho avuto difficoltà a immergermi all'inizio nella storia e nel mondo creato dall'autrice, e il suo protagonista, il commissario Adamsberg, a volte mi pareva un idiota completo.
Ho dovuto ricredermi, sono stato piacevolmente smentito. Uno dei tanti punti forti di questo romanzo, e immagino anche dei precedenti, è proprio la caratterizzazione dei personaggi. Sono tutti convincenti e con caratteristiche marcate, distinguibili, che li rendono unici.
Adamsberg è uno spalatore di nuvole (cit.) e conduce le indagini con una metodologia tutta sua, anzi, quasi con l'assenza della stessa, divagando su concetti apparentemente senza nessun nesso logico, ma arrivando poi all'intuizione giusta.
Strepitosi anche i comprimari, tra cui spicca la figura di Danglard, comandante dalla mostruosa cultura che incanala nei giusti binari il commissario quando deraglia pericolosamente e che lo aiuta in ogni situazione pur non approvando tutte le sue scelte e quella di Veyrac, poliziotto misterioso appena giunto nelle schiere dell'Anticrimine, e che ha il vizio di mettere in versi qualsiasi fatto gli accada e nella narrazione è veramente divertente da leggere, nonostante sia passata anche al setaccio della traduzione.
Oltre all'ottima caratterizzazione dei personaggi, il romanzo è supportato anche da una trama notevole, intessuta con maestria e che riallaccia tutti i fili che sembravano senza senso ad un finale che sorprende. Un noir che scorre veloce, piacevole da leggere e che non annoia mai.
Tirando le somme: nei boschi eterni mi è piaciuto, non mi ha fatto saltare sulla sedia o gridare al miracolo, ma mi ha fatto passare ore piacevoli, ed è quello che, a mio parere, un buon libro deve fare.
Lo consiglio a tutti.
Tarot - Ludus Hermeticus
Sparpaglia le carte sul tavolo. Pescane tre, a caso. Vediamo cosa ti è uscito:
Sono racconti. Racconti di TaroT - Ludus Hermeticus.
Da V - Il papa, di Davide Cassia
«Vediamo ora quale sarà la prova che i due contendenti dovranno affrontare!» annunciò Ermio facendo esultare la folla.
Una delle solite ragazze in divisa bicolore entrò sulla scena trasportando un’urna munita di rotelle. Per esigenze di scena la gonna era diventata ancora più corta; anche la Chiesa doveva piegarsi alle esigenze di share. Nell’urna erano presenti diverse palle colorate. La ragazza rimestò sorridendo a centodue denti verso la telecamera e poi passò una delle bocce al capo cuoco.
Ermio la prelevò, la aprì con le grosse manone senza nessuna apparente difficoltà e agguantò il biglietto all’interno.
«La prova è: Gesù Cammina sul Mare!»
Una buona porzione del palco iniziò a slittare verso l’esterno rivelando una piscina olimpionica lunga cinquanta metri. La folla continuava ad applaudire e incitare i contendenti continuamente pungolata da un aizzatore vestito da Satana, con tanto di forcone.
«Il primo sarà», attimo di suspense, «Marello Pompidore!»
Marello avanzò di un passo, la struttura era ormai completamente scoperta. Si era allenato parecchio nella sua tenuta, nella piscina, sia con acqua di mare che con acqua dolce: era sicuro di potercela fare, ma l’emozione della diretta e il fatto di essere alla prova del nove poteva incidere notevolmente sulla performance.
Nella mensa calò il silenzio, il concorrente aveva cinque minuti per concentrarsi e poi doveva per forza affrontare la prova. Marello focalizzò nella mente uno schermo vuoto e nero e su di esso proiettò se stesso che camminava sulle acque della piscina. Rimase fisso su quell’immagine per tre minuti e quattordici secondi, poi mosse il primo passo.
Per un microsecondo sentì il sandalo sprofondare, ma poi avvertì il familiare formicolio lungo la spina dorsale e nel cervelletto, e iniziò a camminare sull’acqua.
«Vediamo ora quale sarà la prova che i due contendenti dovranno affrontare!» annunciò Ermio facendo esultare la folla.
Una delle solite ragazze in divisa bicolore entrò sulla scena trasportando un’urna munita di rotelle. Per esigenze di scena la gonna era diventata ancora più corta; anche la Chiesa doveva piegarsi alle esigenze di share. Nell’urna erano presenti diverse palle colorate. La ragazza rimestò sorridendo a centodue denti verso la telecamera e poi passò una delle bocce al capo cuoco.
Ermio la prelevò, la aprì con le grosse manone senza nessuna apparente difficoltà e agguantò il biglietto all’interno.
«La prova è: Gesù Cammina sul Mare!»
Una buona porzione del palco iniziò a slittare verso l’esterno rivelando una piscina olimpionica lunga cinquanta metri. La folla continuava ad applaudire e incitare i contendenti continuamente pungolata da un aizzatore vestito da Satana, con tanto di forcone.
«Il primo sarà», attimo di suspense, «Marello Pompidore!»
Marello avanzò di un passo, la struttura era ormai completamente scoperta. Si era allenato parecchio nella sua tenuta, nella piscina, sia con acqua di mare che con acqua dolce: era sicuro di potercela fare, ma l’emozione della diretta e il fatto di essere alla prova del nove poteva incidere notevolmente sulla performance.
Nella mensa calò il silenzio, il concorrente aveva cinque minuti per concentrarsi e poi doveva per forza affrontare la prova. Marello focalizzò nella mente uno schermo vuoto e nero e su di esso proiettò se stesso che camminava sulle acque della piscina. Rimase fisso su quell’immagine per tre minuti e quattordici secondi, poi mosse il primo passo.
Per un microsecondo sentì il sandalo sprofondare, ma poi avvertì il familiare formicolio lungo la spina dorsale e nel cervelletto, e iniziò a camminare sull’acqua.
Lo Squalo
Lo squalo travestito da agnello
Ha la pelle di giacca e cravatta
Ti fissa senza pudore la patta
E cerca di succhiarti il cervello
Lo squalo ha occhi grigio cobalto
Ti sorride scintillando brandelli
Dei muscoli di chi chiama fratelli
E sculetta a chi guarda dall'alto
Lo squalo ti sbrana senza pensare
All'anima che ti cola dal cuore
Alla carne che bestemmia dolore
Al tempo che hai speso a sudare
Ha la pelle di giacca e cravatta
Ti fissa senza pudore la patta
E cerca di succhiarti il cervello
Lo squalo ha occhi grigio cobalto
Ti sorride scintillando brandelli
Dei muscoli di chi chiama fratelli
E sculetta a chi guarda dall'alto
Lo squalo ti sbrana senza pensare
All'anima che ti cola dal cuore
Alla carne che bestemmia dolore
Al tempo che hai speso a sudare
La Reliquia Rubata - Candace Robb
Sono sempre stato appassionato dalle ambientazioni medievali, memore di vecchi film sui cavalieri della tavola rotonda, il valore, l'onore, i duelli, le battaglie e quant'altro.
Mi sono avvicinato ai libri di Candace Robb proprio per questo, in quanto thriller ambientati nell'era oscura, che poi tanto oscura non è.
Siamo nella città di York, nella metà del 1300, una suora scappa da un convento con una preziosa reliquia, per venderla e ricavare il denaro per scoprire dov'è finito il fratello. Muore prima di poter portare a compimento l'intento e poi "risorge", miracolata dalla Vergine ma dimentica della reliquia.
Owen Archer, protagonista di quasi tutti questi romanzi e, guarda caso, di professione proprio arciere, viene incaricato dall'arcivescovo di York per condurre le indagini e ritrovare la preziosa reliquia.
La trama effettivamente non è male a leggerla così. Purtroppo l'unico punto forte di questo romanzo è appunto l'ambientazione storica, descritta molto bene dalla autrice e molto d'atmosfera. La narrazione invece langue, arrancando capitolo dopo capitolo in una storia che poteva essere orchestrata, a mio avviso, in modo migliore. Da un thriller ci si aspetta qualcosa di più e non solo lunghi dialoghi, ma pathos, suspense e maggiore azione.
Alcuni personaggi poi, a mio parere, non sono ben caratterizzati, anche lo stesso Archer a volte sembra un pupazzo con poca personalità. I personaggi migliori sono sicuramente quelli femminili, forse perché l'autrice ci si immedesima maggiormente, ma uno scrittore deve dare di più ai suoi attori, non solo a quelli che ama.
Tirando le somme: mi ha deluso, non mi ha appassionato. Mi ha sorpreso piacevolmente come ambientazione, calandomi perfettamente nel periodo storico, ma poi mi ha lasciato perplesso sulla storia, quella che deve coinvolgere il lettore e portarlo con bramosia fino alla fine.
Mi sono avvicinato ai libri di Candace Robb proprio per questo, in quanto thriller ambientati nell'era oscura, che poi tanto oscura non è.
Siamo nella città di York, nella metà del 1300, una suora scappa da un convento con una preziosa reliquia, per venderla e ricavare il denaro per scoprire dov'è finito il fratello. Muore prima di poter portare a compimento l'intento e poi "risorge", miracolata dalla Vergine ma dimentica della reliquia.
Owen Archer, protagonista di quasi tutti questi romanzi e, guarda caso, di professione proprio arciere, viene incaricato dall'arcivescovo di York per condurre le indagini e ritrovare la preziosa reliquia.
La trama effettivamente non è male a leggerla così. Purtroppo l'unico punto forte di questo romanzo è appunto l'ambientazione storica, descritta molto bene dalla autrice e molto d'atmosfera. La narrazione invece langue, arrancando capitolo dopo capitolo in una storia che poteva essere orchestrata, a mio avviso, in modo migliore. Da un thriller ci si aspetta qualcosa di più e non solo lunghi dialoghi, ma pathos, suspense e maggiore azione.
Alcuni personaggi poi, a mio parere, non sono ben caratterizzati, anche lo stesso Archer a volte sembra un pupazzo con poca personalità. I personaggi migliori sono sicuramente quelli femminili, forse perché l'autrice ci si immedesima maggiormente, ma uno scrittore deve dare di più ai suoi attori, non solo a quelli che ama.
Tirando le somme: mi ha deluso, non mi ha appassionato. Mi ha sorpreso piacevolmente come ambientazione, calandomi perfettamente nel periodo storico, ma poi mi ha lasciato perplesso sulla storia, quella che deve coinvolgere il lettore e portarlo con bramosia fino alla fine.
Inferno 17 - brano estratto
Esseri spettrali si aggirano nella mente di un assassino. Quali sono le forze che lo muovono? Quali le pulsioni che lo fanno agire? Alcuni di questi spettri volteggiano anche in Inferno 17:
Si era impossessato anche di quest’anima e il demone si era placato di nuovo. Sapeva che non sarebbe durato a lungo. Ben presto sarebbe ritornato a chiedere altro sangue fino al compimento del suo disegno diabolico. Ma era passato troppo poco tempo tra la seconda e la terza anima. Lo sapeva. Avrebbe dovuto cercare di contenerlo più a lungo, stavolta.
Si stava rimirando allo specchio. Indossava i vestiti dell’ultima vittima; non gli cadevano male anche se non erano certo della sua taglia. Il ferretto del reggiseno gli stava ferendo la pelle tra le scapole e le mutandine gli stavano soffocando i genitali. Il completo color pesca invece gli stava bene, ma i collant stringevano le cosce in modo insopportabile. Indossare il vestito della donna lo eccitava, ricordava con piacere quando l’aveva immobilizzata e le aveva sfilato tutti i vestiti. Poi l’aveva violentata, mentre lei gridava. Le sue urla lo avevano eccitato ancora di più.
L’erezione gli stava esplodendo nelle mutandine mentre ricordava l’ultimo atto compiuto. Per ora il demone sembrava accontentarsi di questo.
Si tolse l’indumento intimo per lasciare libera la sua virilità di esprimersi. Dopodiché si accasciò sul divano e pianse. Ora si sentiva svuotato, privo di energia. Lacrime per quello che aveva fatto, per quello che era diventato, per quel demone che non lo lasciava in pace e pretendeva troppo per il suo fragile stato mentale.
Si accucciò in posizione fetale e si disperò fino allo sfinimento. Dopo aver consumato tutta l’angoscia che aveva in corpo, si addormentò come un bambino.
Si era impossessato anche di quest’anima e il demone si era placato di nuovo. Sapeva che non sarebbe durato a lungo. Ben presto sarebbe ritornato a chiedere altro sangue fino al compimento del suo disegno diabolico. Ma era passato troppo poco tempo tra la seconda e la terza anima. Lo sapeva. Avrebbe dovuto cercare di contenerlo più a lungo, stavolta.
Si stava rimirando allo specchio. Indossava i vestiti dell’ultima vittima; non gli cadevano male anche se non erano certo della sua taglia. Il ferretto del reggiseno gli stava ferendo la pelle tra le scapole e le mutandine gli stavano soffocando i genitali. Il completo color pesca invece gli stava bene, ma i collant stringevano le cosce in modo insopportabile. Indossare il vestito della donna lo eccitava, ricordava con piacere quando l’aveva immobilizzata e le aveva sfilato tutti i vestiti. Poi l’aveva violentata, mentre lei gridava. Le sue urla lo avevano eccitato ancora di più.
L’erezione gli stava esplodendo nelle mutandine mentre ricordava l’ultimo atto compiuto. Per ora il demone sembrava accontentarsi di questo.
Si tolse l’indumento intimo per lasciare libera la sua virilità di esprimersi. Dopodiché si accasciò sul divano e pianse. Ora si sentiva svuotato, privo di energia. Lacrime per quello che aveva fatto, per quello che era diventato, per quel demone che non lo lasciava in pace e pretendeva troppo per il suo fragile stato mentale.
Si accucciò in posizione fetale e si disperò fino allo sfinimento. Dopo aver consumato tutta l’angoscia che aveva in corpo, si addormentò come un bambino.
Nero Bifamiliare
Uscito l'anno scorso, Nero Bifamiliare è l'opera prima di Federico Zampaglione, cantante e leader dei Tiromancino.
Narra la storia di una coppia che trasloca in una villetta bi-familiare, indebitandosi alla morte e che vede svanire la propria serenità per via di una serie di problemi dovuti soprattutto alle incomprensioni con il vicinato.
Il film è un discreto esperimento di amalgama di stili, che, a mio avviso, ad un certo punto sfocia nella noia. Si è voluto dare un taglio narrativo di alternanza di generi, dal noir al comico fino a sfociare nel grottesco e, secondo me, non funziona.
Il problema sta proprio nella sceneggiatura, troppo debole, piena di fronzoli inutili, lenta. Quando vengono proposte scene da commedia italiana, lo spessore scende ancora di più, sfiorando di striscio i film dei Vanzina e strappando, raramente, qualche sorriso. Il noir da pochi brividi, forse qualcuno all'inizio, ma poi sfocia nel banale, nel già visto, e il grottesco stona, non calza con il contesto.
Alla fine ci si rigira sulla poltrona, aspettando che il film finisca, come una tortura di quelle sottili basate sul tedio.
La recitazione non è male perché affidata a attori "navigati"; Luca Lionello, Ernesto Mahieux, Remo Remotti fanno la loro porca figura, ma la Gerini è lì solo perché dolce metà del regista, perché piacevole da vedere e non convince.
Insomma, un'opera prima fallimentare dal mio punto di vista.
Narra la storia di una coppia che trasloca in una villetta bi-familiare, indebitandosi alla morte e che vede svanire la propria serenità per via di una serie di problemi dovuti soprattutto alle incomprensioni con il vicinato.
Il film è un discreto esperimento di amalgama di stili, che, a mio avviso, ad un certo punto sfocia nella noia. Si è voluto dare un taglio narrativo di alternanza di generi, dal noir al comico fino a sfociare nel grottesco e, secondo me, non funziona.
Il problema sta proprio nella sceneggiatura, troppo debole, piena di fronzoli inutili, lenta. Quando vengono proposte scene da commedia italiana, lo spessore scende ancora di più, sfiorando di striscio i film dei Vanzina e strappando, raramente, qualche sorriso. Il noir da pochi brividi, forse qualcuno all'inizio, ma poi sfocia nel banale, nel già visto, e il grottesco stona, non calza con il contesto.
Alla fine ci si rigira sulla poltrona, aspettando che il film finisca, come una tortura di quelle sottili basate sul tedio.
La recitazione non è male perché affidata a attori "navigati"; Luca Lionello, Ernesto Mahieux, Remo Remotti fanno la loro porca figura, ma la Gerini è lì solo perché dolce metà del regista, perché piacevole da vedere e non convince.
Insomma, un'opera prima fallimentare dal mio punto di vista.
Master of Orion 3
In passato ho trascorso ore ed ore a giocare a Master of Orion 2: Battle of Antares, strategico a turni di ambientazione spaziale in cui bisognava prendere in mano una civiltà agli albori della conquista galattica e portarla al trionfo, in vari modi, ma soprattutto distruggendo tutti gli avversari o facendo propri tutti i pianeti della galassia.
Ho atteso poi con trepidazione l'arrivo del terzo capitolo, Master of Orion 3, uscito nel febbraio del 2003, e che ha deluso le aspettative della maggior parte dei suoi fan. In primo luogo perché era troppo complesso e in seconda battuta perché dava l'impressione che non fosse in realtà un gioco vero e proprio, ma una simulazione senza interazione da parte del giocatore.
Già, perché sembrava quasi che fosse sufficiente cliccare sul bottone della fine del turno e il gioco in automatico svolgeva le azione necessarie alla gestione dell'impero.
In effetti, se si aggiustano i parametri nel modo giusto, il gioco può essere gestito totalmente dall'intelligenza artificiale.
Lo scoglio più difficile da superare è la curva di apprendimento, che, per chi non ha mai giocato a titoli del genere o al numero 2, è praticamente quasi impossibile da superare.
Io, essendo giocatore da data immemorabile ed essendo appassionato sia del genere che della saga, mi sono messo pazientemente all'opera, scardinando tutte le variabili e cercando di penetrare nel motore essenziale del gioco.
Dopo settimane a litigare letteralmente con i vari menu, ho raggiunto una buona conoscenza del mezzo e da lì in poi mi sono divertito.
In MoO3 ci sono tutti gli aspetti che mi avevano intrigato in Battle of Antares, ma c'è molto di più, soprattutto in termini di profondità di gioco, customizzazione delle astronavi e delle razze, galassie random che possono essere gigantesche o piccolissime, possibilità di interagire con un numero variabile di altre razze aliene. L'intelligenza artificiale degli avversari è buona, anche se presenta alcuni aspetti migliorabili, e anche la diplomazia è curata e credibile.
Insomma, io lo trovo divertente e coinvolgente, e una partita non è mai uguale ad un altra per ore e ore di gioco.
Il problema è sicuramente che prima di poter fare qualsiasi cosa, tipo attaccare con profitto i nemici, si deve crescere molto, e spendere turni interminabili di pianificazione.
Non mi sento di consigliarlo a tutti, solo a chi, come me, è malato per questo genere e ama le ambientazioni spaziale e la conquista di pianeti su pianeti.
Ho atteso poi con trepidazione l'arrivo del terzo capitolo, Master of Orion 3, uscito nel febbraio del 2003, e che ha deluso le aspettative della maggior parte dei suoi fan. In primo luogo perché era troppo complesso e in seconda battuta perché dava l'impressione che non fosse in realtà un gioco vero e proprio, ma una simulazione senza interazione da parte del giocatore.
Già, perché sembrava quasi che fosse sufficiente cliccare sul bottone della fine del turno e il gioco in automatico svolgeva le azione necessarie alla gestione dell'impero.
In effetti, se si aggiustano i parametri nel modo giusto, il gioco può essere gestito totalmente dall'intelligenza artificiale.
Lo scoglio più difficile da superare è la curva di apprendimento, che, per chi non ha mai giocato a titoli del genere o al numero 2, è praticamente quasi impossibile da superare.
Io, essendo giocatore da data immemorabile ed essendo appassionato sia del genere che della saga, mi sono messo pazientemente all'opera, scardinando tutte le variabili e cercando di penetrare nel motore essenziale del gioco.
Dopo settimane a litigare letteralmente con i vari menu, ho raggiunto una buona conoscenza del mezzo e da lì in poi mi sono divertito.
In MoO3 ci sono tutti gli aspetti che mi avevano intrigato in Battle of Antares, ma c'è molto di più, soprattutto in termini di profondità di gioco, customizzazione delle astronavi e delle razze, galassie random che possono essere gigantesche o piccolissime, possibilità di interagire con un numero variabile di altre razze aliene. L'intelligenza artificiale degli avversari è buona, anche se presenta alcuni aspetti migliorabili, e anche la diplomazia è curata e credibile.
Insomma, io lo trovo divertente e coinvolgente, e una partita non è mai uguale ad un altra per ore e ore di gioco.
Il problema è sicuramente che prima di poter fare qualsiasi cosa, tipo attaccare con profitto i nemici, si deve crescere molto, e spendere turni interminabili di pianificazione.
Non mi sento di consigliarlo a tutti, solo a chi, come me, è malato per questo genere e ama le ambientazioni spaziale e la conquista di pianeti su pianeti.
Subsonica - La Glaciazione
Chi sicuramente si distingue nel panorama della musica sperimental, rock, elettronica italiana sono i Subsonica.
Non li apprezzavo all'inizio, o meglio, apprezzavo solo alcune canzoni, le più famose, ma qualcuno - e non faccio nomi, ma è la mia dolce metà - me li ha praticamente imposti indirettamente.
E ne ho apprezzato tutte le sfumature e lo stile unico che li eleva al di fuori della massa dei gruppi e dei cantanti del bel paese.
L'ultimo singolo - La Glaciazione - è un gran bel pezzo, molto elettronico, pregno di effetti, molto ritmato, un gran bel lavoro. Anche il video non è male: inquietante e molto cinematografico.
La canzone precede l'uscita del prossimo album L'Eclissi previsto per il 23 novembre. Immagino che qui dalla mie parti si ascolterà parecchio.
Poi vi saprò dire.
E attenti... questo vuoto esploderà, cazzarola!
Non li apprezzavo all'inizio, o meglio, apprezzavo solo alcune canzoni, le più famose, ma qualcuno - e non faccio nomi, ma è la mia dolce metà - me li ha praticamente imposti indirettamente.
E ne ho apprezzato tutte le sfumature e lo stile unico che li eleva al di fuori della massa dei gruppi e dei cantanti del bel paese.
L'ultimo singolo - La Glaciazione - è un gran bel pezzo, molto elettronico, pregno di effetti, molto ritmato, un gran bel lavoro. Anche il video non è male: inquietante e molto cinematografico.
La canzone precede l'uscita del prossimo album L'Eclissi previsto per il 23 novembre. Immagino che qui dalla mie parti si ascolterà parecchio.
Poi vi saprò dire.
E attenti... questo vuoto esploderà, cazzarola!
Il Nemico alle Porte
In questi giorni mi è capitato di vedere questo film del 2000, consigliatomi dal parente fratello. Ambientato agli inizi della seconda guerra mondiale, si apre con un ragazzino che spara ad un lupo, un treno che viaggia verso la guerra e poi lo spettatore viene catapultato in mezzo alle bombe e alle pallottole dell'assedio di Stalingrado da parte dei nazisti. Morti, sangue, membra che volano: gustoso per uno come me che ama l'azione, la truculenza e il periodo storico.
Dopo questa overture, il ritmo cambia e si passa alla storia vera e propria del tiratore scelto (sniper per i giocatori di fps) Vassili Zaitsev che diventa, suo malgrado, un eroe nazionale, creato e montato dalla propaganda russa, anche se in realtà il ragazzo una buona skill da cecchino ce l'ha. Tutta la narrazione poi viene incentrata sulla sfida tra l'eroe russo e il tiratore scelto tedesco, tal maggiore König. Fino all'inevitabile e tragico epilogo.
Il film è godibile, con un buon ritmo, una trama ben congegnata e personaggi dal profilo psicologico complesso. Al di là della trasposizione reale di sangue e piombo che a qualcuno potrebbe far storcere il naso, io ne ho apprezzato la crudezza, perché è così che una guerra deve essere rappresentata.
Appassionante il duello tra i due cecchini, che fino all'ultimo si sfidano senza esclusione di colpi (anche nel senso stretto del termine).
Nella trama non ci sono solo bombe e pallottole che fischiano, ma anche una storia d'amore, amicizia, lealtà, tradimento, invidia e senso del dovere.
Jean-Jacques Annaud, il regista, ha voluto dipingere il momento di massimo successo dei nazisti, ma anche la loro prima sconfitta, un punto di svolta nella storia, che ha segnato le prime avvisaglie di quello che sarebbe stato l'epilogo della guerra. Ha cercato di non schierarsi, anche se quello che si può intendere è che i russi fossero i buoni e i nazisti i cattivi, mentre in realtà era lo scontro tra due regimi. È solo un impressione di fondo, perché è chiara comunque fin dall'inizio l'impronta della filosofia staliniana e quella nazista.
In linea di massima un film da vedere se vi piacciono il contesto storico, le sfide all'ultimo sangue e le storie di fiori e piombo, patriottismo e uomini semplici che diventano eroi senza volerlo.
Il film è godibile, con un buon ritmo, una trama ben congegnata e personaggi dal profilo psicologico complesso. Al di là della trasposizione reale di sangue e piombo che a qualcuno potrebbe far storcere il naso, io ne ho apprezzato la crudezza, perché è così che una guerra deve essere rappresentata.
Appassionante il duello tra i due cecchini, che fino all'ultimo si sfidano senza esclusione di colpi (anche nel senso stretto del termine).
Nella trama non ci sono solo bombe e pallottole che fischiano, ma anche una storia d'amore, amicizia, lealtà, tradimento, invidia e senso del dovere.
Jean-Jacques Annaud, il regista, ha voluto dipingere il momento di massimo successo dei nazisti, ma anche la loro prima sconfitta, un punto di svolta nella storia, che ha segnato le prime avvisaglie di quello che sarebbe stato l'epilogo della guerra. Ha cercato di non schierarsi, anche se quello che si può intendere è che i russi fossero i buoni e i nazisti i cattivi, mentre in realtà era lo scontro tra due regimi. È solo un impressione di fondo, perché è chiara comunque fin dall'inizio l'impronta della filosofia staliniana e quella nazista.
In linea di massima un film da vedere se vi piacciono il contesto storico, le sfide all'ultimo sangue e le storie di fiori e piombo, patriottismo e uomini semplici che diventano eroi senza volerlo.
Vargo Marian: Il Cinico e l'Acqua Santa
Quello che vado a presentarvi è un racconto apparso sulla antologia XII, da cui è poi nato il progetto editoriale che ne prende il nome.
Vargo Marian è appunto un cinico, un investigatore privato che non crede a nulla se non a se stesso e alla sua pistola. Dovrà ricredersi su alcune sue convinzioni e verrà coinvolto, suo malgrado, in qualcosa di misterioso.
Vargo Marian è appunto un cinico, un investigatore privato che non crede a nulla se non a se stesso e alla sua pistola. Dovrà ricredersi su alcune sue convinzioni e verrà coinvolto, suo malgrado, in qualcosa di misterioso.
1.
Era una notte piovosa, la pioggia rigava i vetri sporchi del mio ufficio. L’acqua formava figure ambigue scivolando verso il basso e i lampioni arancione riflettevano ombre rossastre sulla parete di fronte alla scrivania ingombra di cartelle ammuffite. Erano posate da mesi lì a prendere polvere.
Era una di quelle giornate intense, in cui avevo sprecato la maggior parte delle ore a trastullarmi con un vecchio videogioco in cui dovevi sparare a tutto quello che si muoveva in una Los Angeles invasa dagli alieni.
Avrei potuto inserire il contenuto di quelle cartelle nel database in cui registravo tutti i casi, ma sono pigro di natura e comunque la catalogazione digitale mi ha sempre annoiato. Stavo sparando in faccia ad un alieno vestito da poliziotto, quando qualcuno bussò alla porta. Era strano che qualcuno bussasse, anche perché sotto la targhetta col mio nome c’era scritto chiaramente di annunciarsi suonando il campanello. Lanciai un’occhiata alla telecamera a circuito chiuso e vidi un uomo calvo con un impermeabile beige e un ombrello nero appoggiato sul polso destro. L’ombrello stava allagando completamente il pianerottolo.
Attivai l’interfono. “È un po’ tardi per ricevere clientela, non le pare?” dissi al visitatore notturno.
“Me ne rendo conto,” convenne l’uomo calvo incurvando impercettibilmente gli angoli della bocca, “ma ho un caso urgente da sottoporle.” Aveva un tono da lord inglese, come se fosse un maggiordomo di alto rango.
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Decameron di Daniele Luttazzi
Ieri notte è andata in onda la prima puntata di Decameron, nuovo programma satirico di La7 che segna il ritorno in tv dopo sei anni di Daniele Luttazzi.
Si è presentato su un ballatoio di plastica trasparente, con il suo sorriso beffardo da satiro, e ha incominciato a sparare a zero su tutto e su tutti, senza risparmiare nessuno, o quasi.
Graffiante, caustico, irriverente, sarcastico, ironico, sembra veramente in ottima forma, soprattutto in apertura di programma quando si è lanciato in un lungo monologo disegnando con lucidità e precisione i problemi e le magagne del nostro paese.
Divertente, ma anche dissacrante, un menestrello che ci vuol far riflettere, perché siamo addormentati ogni giorno da programmi spazzatura e questo Decameron ha il pregio di scostarsi clamorosamente da tutto ciò che è girato in tv in questi anni.
Non dico che mi sia piaciuta ogni cosa, ma perlomeno quella di Luttazzi è un'autorevole voce fuori dal coro. Che critica pesantemente il governo, ma che non lascia scampo nemmeno all'opposizione.
Daniele parla chiaro, senza fronzoli. Sono ben pochi quelli che lo fanno.
Bentornato!
Si è presentato su un ballatoio di plastica trasparente, con il suo sorriso beffardo da satiro, e ha incominciato a sparare a zero su tutto e su tutti, senza risparmiare nessuno, o quasi.
Graffiante, caustico, irriverente, sarcastico, ironico, sembra veramente in ottima forma, soprattutto in apertura di programma quando si è lanciato in un lungo monologo disegnando con lucidità e precisione i problemi e le magagne del nostro paese.
Divertente, ma anche dissacrante, un menestrello che ci vuol far riflettere, perché siamo addormentati ogni giorno da programmi spazzatura e questo Decameron ha il pregio di scostarsi clamorosamente da tutto ciò che è girato in tv in questi anni.
Non dico che mi sia piaciuta ogni cosa, ma perlomeno quella di Luttazzi è un'autorevole voce fuori dal coro. Che critica pesantemente il governo, ma che non lascia scampo nemmeno all'opposizione.
Daniele parla chiaro, senza fronzoli. Sono ben pochi quelli che lo fanno.
Bentornato!
Ratatouille
In questi ultimi anni siamo stati letteralmente invasi dai film di animazione, che, con l'ausilio della computer grafica hanno raggiunto dettagli di eccellenza incredibili. La scena se la sono quasi sempre spartita la Pixar e la Dreamworks, proponendo spesso film di qualità e sbagliando raramente.
L'ondata travolgente del successo è iniziata sicuramente da Toy Story, eccellente cartoon del '96 targato Disney (e quindi Pixar) e sempre da questa sinergia è nato Ratatouille, storia di un topo con incredibili doti da chef.
Il meccanismo del plot non è certo originale: l'animale con doti "umane" che vuole distinguersi dalla massa dei suoi simili e fare qualcosa di eccezionale, con tutti i risvolti sociali e psicologici che ne derivano. Nonostante questo, il film funziona e anche bene. I personaggi sono azzeccati, la storia è divertente, con pochissimi cali di tono, intrigante, commovente e, a tratti, esilarante.
Gli autori hanno saputo mescolare sapientemente, come ottimi cuochi, gli elementi narrativi, costruire personaggi credibili e divertenti, dialoghi azzeccati e intreccio che funziona egregiamente.
Non c'è che dire, se non è un capolavoro, poco ci manca. Ci si affeziona al topo e alla storia, che è il fine ultimo di ogni narrazione che si rispetti. Il tutto ambientato in una città che non ha bisogno di presentazioni: Parigi; che è a tutti gli effetti quasi uno dei personaggi del cartoon.
Se volete passare una serata spensierata e divertente, Ratatouille è il film che fa per voi e non ve ne pentirete.
L'ondata travolgente del successo è iniziata sicuramente da Toy Story, eccellente cartoon del '96 targato Disney (e quindi Pixar) e sempre da questa sinergia è nato Ratatouille, storia di un topo con incredibili doti da chef.
Il meccanismo del plot non è certo originale: l'animale con doti "umane" che vuole distinguersi dalla massa dei suoi simili e fare qualcosa di eccezionale, con tutti i risvolti sociali e psicologici che ne derivano. Nonostante questo, il film funziona e anche bene. I personaggi sono azzeccati, la storia è divertente, con pochissimi cali di tono, intrigante, commovente e, a tratti, esilarante.
Gli autori hanno saputo mescolare sapientemente, come ottimi cuochi, gli elementi narrativi, costruire personaggi credibili e divertenti, dialoghi azzeccati e intreccio che funziona egregiamente.
Non c'è che dire, se non è un capolavoro, poco ci manca. Ci si affeziona al topo e alla storia, che è il fine ultimo di ogni narrazione che si rispetti. Il tutto ambientato in una città che non ha bisogno di presentazioni: Parigi; che è a tutti gli effetti quasi uno dei personaggi del cartoon.
Se volete passare una serata spensierata e divertente, Ratatouille è il film che fa per voi e non ve ne pentirete.
Fenomeno Dottor House
Dottor House è un telefilm che ha visto aumentare i propri consensi puntata dopo puntata, serie dopo serie, raggiungendo share importanti e la prima serata su canale 5 con ben due episodi.
Lo ammetto, faccio anch'io parte della schiera dei fan. Il personaggio è forte, costruito in modo impeccabile, quella sua schiettezza, il sarcasmo, il cinismo, lo rendono divertente e, a volte, simpatico.
Lo ammetto, faccio anch'io parte della schiera dei fan. Il personaggio è forte, costruito in modo impeccabile, quella sua schiettezza, il sarcasmo, il cinismo, lo rendono divertente e, a volte, simpatico.
Queste caratteristiche sono bilanciate da una volontà ferrea nel salvare la vita al proprio paziente, anche se in realtà non gli importa nulla della persona, ma di capire e stilare una diagnosi che nessun altro dottore è in grado di raggiungere.
La costruzione della maggior parte delle puntate è sempre la stessa, che funziona, evidentemente: un paziente che nessuno riesce a curare e intriga il caro Dr. House, una serie infinita di ipotesi, nessuna di esse è esatta, finché non giunge il colpo di genio, a volte dettato da eventi casuali, che portano alla soluzione dl caso.
È vero. L'abilità degli autori è dovuta anche al fatto che ogni tanto cercano di rompere questo schema, come è giusto che sia, in quache puntata House e il suo team non riescono a risolvere nulla e il paziente muore, oppure non è il dottore, ma uno dei suoi collaboratori ad avere il colpo di genio. In aggiunta c'è da dire che il plot principale ha un buon intreccio secondario, che si sofferma sulla vita dei personaggi, le loro debolezze, aspettative, problemi, e quanto altro.
Disegnate con maestria, senza ombra di dubbio.
E allora? Devo dire che alla lunga la formula mistero- ipotesi- soluzione brillante dettata dalla casualità, stanca. Almeno, ha stancato me. Non lo trovo realistico, non può tutte le volte funzionare in questo modo e determinati meccanismi stanno diventanto noiosi, soprattutto la parte di analisi e diagnosi dove sparano malattie sconosciute (per chi non ha studiato medicina, ovvio) che ormai abbiamo imparato a conoscere (il lupus, la sarcoidosi, ecc, ecc) e vanno alla cieca perché non sanno dove sbattere la testa.
Anche l'illuminazione finale, alla Sherlock Holmes, a volte mi manda in bestia. Tutto il tempo applicando determinate cure e poi, zackete, non era quello, ma bastava solo una piccola intuizione a cui House arriva per caso, pensando agli affaracci suoi, parlando con Wilson o con il paziente maltrattato nell'ambulatorio (quella dell'ambulatorio è la parte più esilarante).
Nell'insieme però la serie funziona, appassiona, diverte. Spero solo che gli autori stemperino un po' la fase di diagnosi, che rompano più spesso la formula della trama e che Hugh Laurie non si stanchi mai di essere il Dr.House.
La costruzione della maggior parte delle puntate è sempre la stessa, che funziona, evidentemente: un paziente che nessuno riesce a curare e intriga il caro Dr. House, una serie infinita di ipotesi, nessuna di esse è esatta, finché non giunge il colpo di genio, a volte dettato da eventi casuali, che portano alla soluzione dl caso.
È vero. L'abilità degli autori è dovuta anche al fatto che ogni tanto cercano di rompere questo schema, come è giusto che sia, in quache puntata House e il suo team non riescono a risolvere nulla e il paziente muore, oppure non è il dottore, ma uno dei suoi collaboratori ad avere il colpo di genio. In aggiunta c'è da dire che il plot principale ha un buon intreccio secondario, che si sofferma sulla vita dei personaggi, le loro debolezze, aspettative, problemi, e quanto altro.
Disegnate con maestria, senza ombra di dubbio.
E allora? Devo dire che alla lunga la formula mistero- ipotesi- soluzione brillante dettata dalla casualità, stanca. Almeno, ha stancato me. Non lo trovo realistico, non può tutte le volte funzionare in questo modo e determinati meccanismi stanno diventanto noiosi, soprattutto la parte di analisi e diagnosi dove sparano malattie sconosciute (per chi non ha studiato medicina, ovvio) che ormai abbiamo imparato a conoscere (il lupus, la sarcoidosi, ecc, ecc) e vanno alla cieca perché non sanno dove sbattere la testa.
Anche l'illuminazione finale, alla Sherlock Holmes, a volte mi manda in bestia. Tutto il tempo applicando determinate cure e poi, zackete, non era quello, ma bastava solo una piccola intuizione a cui House arriva per caso, pensando agli affaracci suoi, parlando con Wilson o con il paziente maltrattato nell'ambulatorio (quella dell'ambulatorio è la parte più esilarante).
Nell'insieme però la serie funziona, appassiona, diverte. Spero solo che gli autori stemperino un po' la fase di diagnosi, che rompano più spesso la formula della trama e che Hugh Laurie non si stanchi mai di essere il Dr.House.
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