Settimana 1 – Lunedì – Ore 1:12
E’ ormai notte fonda nel castello di Vaccamelata, tra i corridoi e nelle camere aleggia un silenzio irreale. Si sente solo in sottofondo il russare di Riccardo Magonza che comunque ha diminuito i giri della motosega essendo entrato in una fase di sonno profondo stile coma.
In cucina Miriano Biottelli si è addormentato con la testa dentro un armadio nella vana ricerca di qualcosa di forte da bere ed ora sogna beatamente tra una confezione di puré liofilizzato e le caramelle del dottor bonbon.
Cabrini Mariozzo sta esplorando un locale che sembra un pub inglese, anzi, è proprio un pub inglese, come se fosse stato magicamente trasportato dall’isola britannica fino al castello di Vaccamelata. E’ tutto fabbricato in legno, persino i miscelatori della birra sembrano di legno e le lampade sono soffuse, a ricreare il torbido delle bevande.
Prova a spillare una birra, giusto per provare, ma dai miscelatori non esce nulla. Controlla sotto il bancone, ma non ci sono fusti. Il frigo e gli altri scaffali sono vuoti.
Peccato, si sarebbe fatto volentieri una birra, magari una di quelle forti, doppio malto, oppure un whisky per conciliare il sonno.
Esplora un po’ qui e un po’ là, ma non trova nulla di interessante, finché non arriva ad un'altra porta. La apre e trova una dispensa con casse impilate fino al soffitto e sacchi di iuta pieni di un qualche materiale sconosciuto. Vicino ad uno dei sacchi, Cabrini scorge qualcosa, un pezzo di legno, anzi, sembra quasi una botola. Si avvicina e scopre che è realmente una botola. Sposta uno dei sacchi che ne compromettono l’apertura e tenta di aprirla, ma sembra chiusa. Strano, gli ricorda qualcosa, tipo un’isola con dei superstiti ad un disastro aereo che scoprono una roba del genere.
Prova a fare un altro sforzo, ma niente, la botola sembra inamovibile. Si guarda attorno, sa di essere sotto stretta osservazione, ma non gliene frega niente, vuole aprire la botola e l’aprirà, quant’è vero che si chiama Cabrini Mariozzo.
Appoggiata contro il muro, vicino alla porta da cui è entrato, c’è una vanga con un robusto manico di legno. Non si domanda a cosa possa servire una vanga in un ripostiglio di un pub inglese, la prende e la infila nell’anello di ferro che serve da tirante alla botola. Ci entra giusto giusto. La infila fino a metà, poi impugna le due estremità e incomincia a fare leva.
La botola in un primo momento sembra non volerne sapere, poi qualcosa si muove, il legno della vanga scricchiola ma non si spezza. Con uno sforzo enorme e tirando con tutto il peso del corpo, Cabrini riesce a sollevarla di quel poco che basta per infilarci sotto un piede. Poi con un ultimo, erculeo tentativo riesce finalmente a spalancarla. Nello sforzo cade sui sacchi e rimane lì col fiato grosso per alcuni minuti. Poi si alza e si sporge verso la botola.
Si apre in un locale buio, la fioca luce della dispensa non riesce ad illuminare niente se non una parete di pietra lucida di umidità. Lontano si sente lo sgocciolio dell’acqua, forse un condotto per la canalizzazione della pioggia. Mariozzo si sporge un po’ di più, la botola su cui è appoggiato si muove quel tanto che basta per fargli perdere l’equilibrio e lui cade a testa in giù nel vuoto.
La botola si richiude alle sue spalle.
Paolina Nuvolara sta vagando ormai da più di mezz’ora per le stanze facendo mosse di judo e piroette da vera ballerina classica, solo che non ha mai preso lezioni di nessuna delle due discipline.
Fa queste evoluzioni perfette e poi spara una frase senza senso, oppure una citazione da qualche volume leggendario, spesso dalla bibbia.
Vicino alla torre delle guardie incrocia Arazza Marchina che le fa il saluto militare. Il corridoio è in penombra e quindi la soldatessa non si accorge dello stato di Paolina e forse anche se ne fosse accorta non si sarebbe fermata. Paolina continua a camminare in stato di trance, si spara tutte le scale che portano alla torre delle guardie, scavalca e si lancia in equilibrismi sul bordo del muretto. La pioggia scende ancora incessante nonostante sia scemata di parecchio rispetto all’arrivo dei concorrenti. Il salto dalla torre al suolo è di circa 15 metri. Paolina non sopravvivrebbe.
Gli autori si interrogano se intervenire o no, in fondo si sa che non bisogna interrompere il sonno di un sonnambulo, ma qui la situazione è grave.
Quando ormai Paolina si è fatta tutto il perimetro delle torre e gli autori hanno deciso di intervenire, lei scende con un volteggio elegante e riprende a scendere le scale. Ritorna sui suoi passi, rifà addirittura il movimento al contrario sul tavolo del banchetto, come se stesse eseguendo un rewind.
“Il millepiedi senza scarpe è come un uomo senza le palle!” sentenzia e fa una mossa di scherma, come se dovesse portare un affondo. Ritorna nell’ala est, compie una paio di salti carpiati in avanti e poi si infila nella sua stanza. Appena giunta ai piedi del letto, fa un inchino e dice: “Il sogno già in se stesso è solo un'ombra,” citando Amleto, e infine si rimette a letto, continuando a dormire come ha fatto fin dall’inizio.
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