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A come Albero (2)
Nonostante abbia espulso dal mio corpo il male come un esorcismo, il cervello sembra immerso ancora in un brodo primordiale. Mi rimetto in strada. Ai lati della via sfilano delle signorine in abiti succinti, scorgo solo alcune parti del corpo, quelle più importanti comunque. Alcune si sporgono pericolosamente verso la fiancata dell’auto, una la prendo in pieno: vola via come una foglia secca e sparisce nell’oscurità ai lati della strada. Aveva un corpo formoso, ma la faccia l’ho intravista solo quando è rotolata via. Sembrava carina, peccato che non riesca a mantenere questa maledetta macchina dritta.
Ora le signorine sono sparite, per un attimo anche la strada sembra sparire, tutto sparisce, come se il parabrezza fosse lo schermo di un monitor senza alimentazione. Poi l’immagine ritorna e quello che vedo non mi piace: un enorme tronco con tutte le sue belle sfaccettature della corteccia, quattro gocce di resina, e una formica rossa che fa lo slalom tra la linfa. Non riesco nemmeno a schiacciare il pedale del freno. Il cofano si accartoccia su se stesso come una pagina straccia. Volo fuori dal finestrino in una moltitudine di coriandoli di vetro, rimbalzo contro l’albero e precipito nel vuoto. Non sento dolore quando impatto con il suolo.
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