B come Bauxite (2)

continua da B come Bauxite
Suona il telefono. Lo guardo come se fosse una bestia brutta che emette un verso fastidioso. Lo lascio squillare, Corianda prenderà la chiamata. Strano che qualcuno conosca il mio numero personale interno. Poche persone lo conoscono: mia sorella, mia madre, mio padre e Corianda stessa. Due di queste sono morte e alle altre non ho voglia di parlare. Dopo 10 squillli lo stridio si interrompe a metà dell’undicesimo, come un’oca strozzata.
Mi alzo e vado alla finestra. L’edificio in cui ha sede amministrativa la compagnia è alto 54 piani, noi occupiamo due piani interi: il 43 e il 44. E’ uno dei grattacieli più alti e dalla finestra si ha una visuale magnifica della città. Rimango po’ lì imbabolato ad osservare un barcone che lentamente scivola sul fiume verso la foce, mi sembra di scorgere anche un minuscolo personaggio che si aggira a poppa, ma non mi fido mai della mia percezione visiva.
Il telefono squilla di nuovo, un trillo diabolico, fastidioso. Mi rimbalza negli emisferi cranici come un martello pneumatico. Mi tappo le orecchie, ma non c’è niente da fare: è come se non provenisse dall’apparecchio, ma direttamente dal cervello. Afferro la cornetta, giusto per farlo smettere.
“Pronto?” sussura un voce lontana. Sto per riattacare quando una voce che non sentivo da quasi 5 anni, rimbrotta con un tono che non lascia alcun dubbio sull’identità dell’utente chiamante:
“Non riattacare, Idiota!”
E’ mio padre. Solo che mio padre è morto il 18 ottobre del 2001 e credo di averlo ucciso io.

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