4.
In anni
di studi teorici e attività sul campo, il dottor Filippo Redoli aveva
progettato diverse apparecchiature elettroniche, poi assemblate in
collaborazione con Giorgio Parca, per la rilevazione, la circoscrizione e lo
stoccaggio di entità e fenomeni elettromagnetici anomali.
Lo
scienziato aveva verificato che le entità erano molto sensibili a determinati
ultrasuoni e venivano attirate verso la fonte di tale emissione o, al
contrario, tendevano ad allontanarsene su altre frequenze. Aveva inoltre
sperimentato che su una certa scala di visualizzazione a infrarossi, con dei
filtri particolari, era possibile intravedere le entità e i loro movimenti.
L’ultima e non meno importante scoperta era stata la reversione di ionizzazione
con cui era possibile catturare le entità.
Ne
erano nati un semplice fischietto, come quello usato per il richiamo dei cani,
per attirare l’entità, e delle minitorrette a emissione per circoscrivere la
zona di intervento. Degli occhiali a infrarossi per la visualizzazione e una
trappola a ionizzazione azionabile con un semplice telecomando e munita
anch’essa di un riproduttore a ultrasuoni.
I tre
erano equipaggiati con questa strumentazione quando salirono le scale verso
all’ala sospetta, in cui erano state preventivamente spente le luci.
Piazzarono
una torretta respingente sulla soglia delle scale che portavano al pianterreno
e si inoltrarono nella semioscurità del corridoio.
A terra
erano presenti diversi libri e molti fogli, testimoni dell’evento, sul visore
agli infrarossi risaltava solo il bianco della carta, che loro vedevano con una
sfumatura di verde.
La
tattica era molto semplice: circoscrivere la zona con torrette a ultrasuoni
negativi per incanalare l’entità verso la trappola. Avrebbero potuto anche
soltanto installare la trappola e attendere, ma in passato erano successi
spiacevoli incidenti, avevano perso l’attimo favorevole per la cattura e
l’entità si era dileguata.
Per chi
ne aveva dovuto sopportare la presenza, la sparizione era un fatto positivo, ma
per loro, che basavano tutta la loro attività sullo stoccaggio del fenomeno,
era un bel guaio.
Il
primo passo era delimitare le zone di fuga, perché avevano appurato che le
entità non amavano passare attraverso i muri, ma preferivano usare porte,
finestre, tombini e altri varchi. Allo stato attuale degli studi, Red non era
ancora in grado di stabilire cosa fossero, se fantasmi nel senso stretto del termine,
anime di defunti o qualcosa d’altro. L’unica certezza era appunto che non
amavano passare dalle pareti, e che erano composti da un’essenza impalpabile di
cui lo scienziato non aveva ancora scoperto la composizione.
Entrarono
nella stanza indicata dalla ragazza, quella degli autori horror contemporanei.
In alcune zone c’erano macchie rosa, segno della presenza di un corpo caldo, in
fase di raffreddamento. Anche alcuni libri a terra e sugli scaffali recavano
tracce di calore prodotto dalla bibliotecaria. L’entità non era lì, o perlomeno,
i tre non riuscivano a percepirla.
Girarono
per tutta l’ala, coprendo ogni possibile zona di fuga. Poi tornarono nella
stanza, ripulirono un’area spaziosa da fogli e libri e piazzarono la trappola.
Prima di azionarla si appostarono a distanza in tre angoli diversi.
Mac
azionò il richiamo. Non successe nulla: tutto rimase immobile. Era raro che
l’entità si manifestasse immediatamente, ma qualche volta era successo in
passato: nemmeno il tempo di azionare la trappola e l’entità era già lì,
visibile, a volte anche a occhio nudo. Alcune persone erano più sensibili di
altre allo spettro di rifrazione e vedevano i fantasmi chiaramente, come qualcosa
di reale, altri solo nebbie e strane ombre in movimento. C’era qualcosa che risvegliava le entità, spesso un
individuo particolare o un’eccezionale congiunzione di eventi.
Non si
mossero per una manciata di minuti. Ogni tanto si sentiva qualche passo
attutito proveniente dal piano superiore, oppure il rumore di qualche clacson
lontano, ma niente di più.
Poi,
finalmente, qualcosa si mosse. Un foglio cominciò a frullare, ad alzare gli
angoli come le antenne di una lumaca, poi altri fogli lo seguirono; dapprima
timorosi, poi sempre più vispi, presero a volteggiare e poi a vorticare,
formando mulinelli.
I tre
si rianimarono, tesi e pronti all’azione, anche se in realtà l’unico che doveva
far qualcosa era Mac, che teneva in mano il telecomando della trappola. Una
macchia apparve dietro uno scaffale, si muoveva lentamente, era poco più di ombra
nell’ombra, di qualche tono più chiara nel buio. Mosse verso la trappola, ma
senza fretta. I suoi contorni non erano netti, sembravano in continua mutazione
e movimento, come un lento sciabordio marino.
L’entità
si fermò nel centro della stanza, come se stesse studiando la situazione, come
se stesse osservando i tre esseri viventi e fosse indecisa sul da farsi.
Ritornò a muoversi piano verso la trappola, irresistibilmente attratta dagli
ultrasuoni generati. Mac era pronto, il pollice poco lontano dal pulsante di
apertura sul telecomando, Giò e Red due sagome rosse negli angoli della stanza,
la sua attenzione era tutta per l’ombra che avanzava a poco a poco verso la
trappola.
L’entità
entrò nella zona di attrazione ionica, ma Mac attese ancora, non era sicuro
azionarla troppo presto, il fantasma poteva scappare e dileguarsi. Indugiò
qualche secondo, l’entità si avvicinò ancora di pochi centimetri e solo a quel
punto premette il pulsante.
Dalla
trappola si sprigionò un bagliore elettrostatico che avvolse il fantasma, il
quale si manifestò in forma umana, quasi intera. Una donna, vestita solo con
una veste leggera, capelli bianchi che le fluttuavano intorno a un cranio
scarno e grigio, senza tratti essenziali, ma con due occhi infuocati, proprio
come aveva descritto la ragazza.
L’entità
emise un sibilo, che fu chiaramente udibile, spalancò le braccia aumentando di
volume, raddoppiando. Il sibilo divenne una specie di ruggito e gli occhi
fiammeggiarono.
Ma fu
solo un attimo, l’energia l’avviluppò in una gabbia di luce e, con uno
sfrigolio, la risucchiò nella trappola.
Alcune
scariche elettrostatiche illuminarono per pochi secondi il marchingegno, poi fu
di nuovo tenebra.
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