Lord Vanquish uscì dalla chat, si ritrovò nella schermata iniziale del gioco, osservò per alcuni secondi il suo fiero alter-ego con il mantello nero svolazzante alle spalle e poi effettuò il logout.
Il suo vero nome era Armando Canalini, di professione avvocato divorzista, aveva quarantacinque anni, separato, con due figli. L’ironia della sorte era che da lì a qualche mese avrebbe presenziato non come professionista alla sua causa di divorzio.
Sì alzò dalla scrivania, ma lasciò acceso il PC. Lo lasciava sempre disponibile per qualche capatina veloce nel mondo di Tales of Runimar. Da quando si era lasciato con la moglie i videogiochi erano diventati la sua valvola di sfogo. Aveva iniziato con qualcosa di semplice, consigliato dal suo negoziante di fiducia, ma pian piano aveva incominciato a giocare a videogiochi sempre più complessi ed evoluti fino ad arrivare al gioco online e ai famosi e famigerati giochi di ruolo di massa.
Sempre il suo negoziante gli aveva consigliato Tales of Runimar, dubbioso, aveva cominciato a giocarci e non si era staccato più. Tutti gli altri giochi erano spariti nel dimenticatoio, era entrato in una gilda, aveva fatto amicizia con alcuni dei membri ed era diventata una specie di droga, un’ossessione, un’alienazione.
Se ne rendeva perfettamente conto, ma la sua vita reale era a un punto morto e la sua vita sociale era praticamente azzerata. Gli rimaneva solo il suo lavoro, che comunque gli dava delle soddisfazioni, soprattutto a livello finanziario, anche se a breve parte di quel denaro sarebbe sparita in alimenti per l’ex-moglie.
Si avvicinò alla finestra da cui traspariva un fievole lucore proveniente dai lampioni stradali. Scostò la tenda e guardò fuori. Auto parcheggiate sui due lati, asfalto bagnato, nello spettro del lampione più vicino danzava una pioggia inconsistente che pareva quasi volteggiare invece che scendere al suolo.
Due ragazzi nel portone di fronte stavano immobili a fissare un punto indefinito. Uno dei due alzò la testa non appena lui scostò la tenda. Avevano tutti e due cappucci calati sulla testa e non erano distinguibili. Armando rimase a guardarli finché l'altro non abbassò la testa. .Poco dopo volute di fumo si dispersero nella pioggia prodotte dalle sigarette che avevano appena acceso
Armando si scostò dalla finestra, fece scendere la tapparella e uscì dalla sala. L'orologio digitale sul comodino della camera da letto segnava le due e trentacinque. La fluorescenza dei numeri nel buio era quasi fastidiosa. Aveva già indossato il pigiama, lo aveva addosso dalle nove e mezza di sera, da quando si era seduto al computer per entrare nel mondo virtuale di Runimar.
Non aveva per niente sonno, aveva ancora in corpo l'adrenalina prodotta dal gioco e davanti agli occhi le immagini dell'ultimo scontro, ma l'indomani avrebbe dovuto alzarsi presto per essere in tribunale a un'ora decente. Decise di leggere e senza accorgersene tirò fino alle tre e mezza.