Intervista a Daniele Picciuti, vincitore della XXII edizione di USAM - Una Storia al Mese - con il racconto Due occhi grandi.
Davide Cassia: Prima di iniziare ti faccio i complimenti per aver vinto la XXII edizione di Una Storia al Mese. Come hai avuto l'idea per questo racconto?
Daniele Picciuti: Innanzitutto grazie per i complimenti. usam è un concorso duro, anche se viene spesso sottovalutato, erroneamente a mio parere.
Quanto al racconto, lo spunto mi è venuto una sera. Mi trovavo a cena dai miei suoceri, nella più normale delle occasioni, e mentre eravamo lì ad aspettare che i piatti venissero messi in tavola, ho preso una rivista da un tavolino e ho cominciato a sfogliarla. Mi sono imbattuto in un servizio sulla realtà dei bambini stregoni di Kinshasa. Ne sono rimasto colpito, nel male più che nel bene, com'è ovvio. Ma allo stesso tempo ho sentito come un “richiamo”. Dovevo scrivere qualcosa a riguardo. Non un articolo, perché quello che avevo letto era piuttosto esauriente, ma una storia. Qualcosa che fosse credibile ed evidenziasse la tragedia di quei bambini.
DC: Ci sei stato veramente in Africa o ti sei documentato?
DP: Come detto, mi sono documentato. Dopo quel primo articolo ho girato molto su internet, trovando reportage di gente che in Africa c'era stata, e dunque parlava con cognizione di causa. Ho anche beccato delle foto e – soprattutto – dei filmati, alquanto agghiaccianti. Dopodiché è emerso lo scrittore e ho cercato di rendere il tutto il più realistico possibile.
DC: Pensi che potrà mai risolversi lo stato di crisi perenne in cui si trova quella parte di mondo?
DP: Non finché gli stati occidentali trarranno profitto da questa situazione. Non finché le autorità mondiali daranno un calcio al cerchio e uno alla botte, come spesso accade in queste situazioni. Queste realtà passano sotto silenzio per anni, poi un giorno la notizia arriva a qualche giornalista d'assalto che tenta di sfruttare questi drammi per uscire con un articolo bomba, e si comincia a parlarne. Quando non c'è di mezzo una strage o peggio, che dia eco alle urla di quei bambini. Allora vengono fuori le grandi organizzazioni per la pace e qualcuno inizia a venire a patti, ma si tratta sempre di compromessi, tanto per tenere buona l'opinione pubblica che, in questi casi, è aizzata dalle associazioni umanitarie, quelle vere, che in genere operano contro la volontà di molti, primi fra tutti i governanti di questo o quel paese disagiato. In Africa soprattutto, il divario tra ricchi e poveri è solcato da abissi profondi come le fosse oceaniche.
DC: Quando è nata la tua passione per la scrittura?
DP: Fin da piccolo. Mi inventavo certe storie... allora scrivevo con una vecchia Olivetti, una macchina da scrivere di quelle che facevano un rumore infernale. Mi ricordo qualche titolo, giusto per farvi fare due risate: Paperino contro Dracula, Gatto Silvestro e il castello maledetto, Snoopy il pirata e altre simpatiche accozzaglie di personaggi dei fumetti dell'epoca. Poi ho iniziato a darmi a racconti più mirati e, tutto sommato, più maturi, passando alla fantascienza e all'horror. Poi, dopo essermi appassionato a Stephen King – che ha letteralmente trascinato il mio interesse verso la scrittura – ho cominciato un romanzo horror ambientato in Scozia che non ho mai finito. Da lì in poi è stata tutta discesa. Per modo di dire.
DC: Scrivi regolarmente oppure quando senti l'ispirazione? Hai un posto e/o un metodo particolare?
DP: Se scrivo regolarmente? In realtà, questo è un tasto dolente. Dipende molto dal fuoco che ho dentro. Se c'è, e ho voglia di scrivere, allora scrivo. E scrivo regolarmente. L'ispirazione in quel caso, se non viene da sola, la vado a cercare. Certo, le cose migliori mi vengono quando sono ispirato in maniera naturale, come nel caso di Due occhi grandi. Se però attraverso il classico blocco dello scrittore, è un guaio. Solo che nel mio caso, il blocco non è sulle idee, ma sulla voglia. Mi è capitato di stare circa tre anni senza scrivere niente. Quando ho ripreso, perché avevo deciso che dovevo farlo, è stato come rinascere. Il fuoco si è riacceso. Ora non smetto più. Be’, spero di non smettere più, incrociando le dita.
DC: Credi che per uno scrittore sia importante il confronto con altri autori?
DP: Prima non mi ero mai posto il quesito. Da quando frequento usam e ho modo di misurarmi con gente in gamba, che sa scrivere e ha belle idee, sì. Decisamente, trovo che il confronto sia importantissimo. Mi ha aiutato molto a crescere, a spronare a migliorarmi sotto quegli aspetti che credevo già perfetti così ma che, ahimè, non lo erano affatto. Soltanto confrontandomi con altri, sono riuscito a rendermene conto. Se ci penso, trovo la cosa fantastica. Insomma, nella scrittura, come nella vita, non si finisce mai di crescere.
DC: Per scrivere ci vuole talento o mestiere?
DP: Ecco una domanda che ho letto spesso in giro. Secondo me il talento è alla base del proprio senso artistico ed è molto personale. Credo che se una persona non ha talento, di fatto non sa scrivere. Il mestiere in questo caso può aiutarlo a redigere un bel tema privo di sbavature, magari anche a buttar giù un articolo discreto. Ma non credo possa fare molto di più. Al contrario, se uno ha talento – in qualsiasi misura lo si intenda, non è che bisogna per forza essere dei geni – il mestiere è ciò che ti permette di esprimere quel talento al meglio delle tue possibilità. Insomma, vedo il talento come un seme, e il mestiere come la cura, l'acqua e il sole che gli consentono di germogliare.
DC: Cosa pensi di Una Storia al Mese?
DP: Come dicevo, trovo che sia un'ottima palestra letteraria e un buon concorso. In giro ho sentito dire che non viene considerato alla stregua di un concorso “vero”, sotto tutti gli aspetti. Non concordo con questa visione, poiché ho trovato in usam racconti assai migliori di altri che hanno vinto concorsi più “seri”.
DC: Sempre parlando di usam: quale formula credi sia migliore per postare i racconti e quali limiti, regole, trovi giuste o sbagliate?
DP: L'idea di un forum dove postare i racconti e commentarli (e votarli) per istinto mi piace, ma credo che sia questo a declassare usam a concorso “non a tutti gli effetti”. Forse, dopo la revisione dei racconti da parte degli autori, questi dovrebbero essere postati altrove, in una pagina più “ufficiale”, che ne permetta la lettura in modo più ordinato. C'è poi il fatto che potendo cambiare il racconto per la prima metà del mese, spesso ci troviamo di fronte a buone storie con voti non ottimali, proprio perché il racconto è decollato grazie ai suggerimenti avuti in corso d'opera. Ora, non so quale scelta sia più giusta, ma forse i voti dovrebbero arrivare solo dopo la fine delle revisioni. È solo un'idea, anche se mi rendo conto che gestire questa cosa non è certo semplice.
DC: Infine, l'ultima ma non meno importante domanda: credi nell'esistenza del Monolito?
DP: Come tutte le cose astratte, di cui si percepisce la presenza pur non vedendole mai, è questione di Fede.
Daniele Picciuti: Innanzitutto grazie per i complimenti. usam è un concorso duro, anche se viene spesso sottovalutato, erroneamente a mio parere.
Quanto al racconto, lo spunto mi è venuto una sera. Mi trovavo a cena dai miei suoceri, nella più normale delle occasioni, e mentre eravamo lì ad aspettare che i piatti venissero messi in tavola, ho preso una rivista da un tavolino e ho cominciato a sfogliarla. Mi sono imbattuto in un servizio sulla realtà dei bambini stregoni di Kinshasa. Ne sono rimasto colpito, nel male più che nel bene, com'è ovvio. Ma allo stesso tempo ho sentito come un “richiamo”. Dovevo scrivere qualcosa a riguardo. Non un articolo, perché quello che avevo letto era piuttosto esauriente, ma una storia. Qualcosa che fosse credibile ed evidenziasse la tragedia di quei bambini.
DC: Ci sei stato veramente in Africa o ti sei documentato?
DP: Come detto, mi sono documentato. Dopo quel primo articolo ho girato molto su internet, trovando reportage di gente che in Africa c'era stata, e dunque parlava con cognizione di causa. Ho anche beccato delle foto e – soprattutto – dei filmati, alquanto agghiaccianti. Dopodiché è emerso lo scrittore e ho cercato di rendere il tutto il più realistico possibile.
DC: Pensi che potrà mai risolversi lo stato di crisi perenne in cui si trova quella parte di mondo?
DP: Non finché gli stati occidentali trarranno profitto da questa situazione. Non finché le autorità mondiali daranno un calcio al cerchio e uno alla botte, come spesso accade in queste situazioni. Queste realtà passano sotto silenzio per anni, poi un giorno la notizia arriva a qualche giornalista d'assalto che tenta di sfruttare questi drammi per uscire con un articolo bomba, e si comincia a parlarne. Quando non c'è di mezzo una strage o peggio, che dia eco alle urla di quei bambini. Allora vengono fuori le grandi organizzazioni per la pace e qualcuno inizia a venire a patti, ma si tratta sempre di compromessi, tanto per tenere buona l'opinione pubblica che, in questi casi, è aizzata dalle associazioni umanitarie, quelle vere, che in genere operano contro la volontà di molti, primi fra tutti i governanti di questo o quel paese disagiato. In Africa soprattutto, il divario tra ricchi e poveri è solcato da abissi profondi come le fosse oceaniche.
DC: Quando è nata la tua passione per la scrittura?
DP: Fin da piccolo. Mi inventavo certe storie... allora scrivevo con una vecchia Olivetti, una macchina da scrivere di quelle che facevano un rumore infernale. Mi ricordo qualche titolo, giusto per farvi fare due risate: Paperino contro Dracula, Gatto Silvestro e il castello maledetto, Snoopy il pirata e altre simpatiche accozzaglie di personaggi dei fumetti dell'epoca. Poi ho iniziato a darmi a racconti più mirati e, tutto sommato, più maturi, passando alla fantascienza e all'horror. Poi, dopo essermi appassionato a Stephen King – che ha letteralmente trascinato il mio interesse verso la scrittura – ho cominciato un romanzo horror ambientato in Scozia che non ho mai finito. Da lì in poi è stata tutta discesa. Per modo di dire.
DC: Scrivi regolarmente oppure quando senti l'ispirazione? Hai un posto e/o un metodo particolare?
DP: Se scrivo regolarmente? In realtà, questo è un tasto dolente. Dipende molto dal fuoco che ho dentro. Se c'è, e ho voglia di scrivere, allora scrivo. E scrivo regolarmente. L'ispirazione in quel caso, se non viene da sola, la vado a cercare. Certo, le cose migliori mi vengono quando sono ispirato in maniera naturale, come nel caso di Due occhi grandi. Se però attraverso il classico blocco dello scrittore, è un guaio. Solo che nel mio caso, il blocco non è sulle idee, ma sulla voglia. Mi è capitato di stare circa tre anni senza scrivere niente. Quando ho ripreso, perché avevo deciso che dovevo farlo, è stato come rinascere. Il fuoco si è riacceso. Ora non smetto più. Be’, spero di non smettere più, incrociando le dita.
DC: Credi che per uno scrittore sia importante il confronto con altri autori?
DP: Prima non mi ero mai posto il quesito. Da quando frequento usam e ho modo di misurarmi con gente in gamba, che sa scrivere e ha belle idee, sì. Decisamente, trovo che il confronto sia importantissimo. Mi ha aiutato molto a crescere, a spronare a migliorarmi sotto quegli aspetti che credevo già perfetti così ma che, ahimè, non lo erano affatto. Soltanto confrontandomi con altri, sono riuscito a rendermene conto. Se ci penso, trovo la cosa fantastica. Insomma, nella scrittura, come nella vita, non si finisce mai di crescere.
DC: Per scrivere ci vuole talento o mestiere?
DP: Ecco una domanda che ho letto spesso in giro. Secondo me il talento è alla base del proprio senso artistico ed è molto personale. Credo che se una persona non ha talento, di fatto non sa scrivere. Il mestiere in questo caso può aiutarlo a redigere un bel tema privo di sbavature, magari anche a buttar giù un articolo discreto. Ma non credo possa fare molto di più. Al contrario, se uno ha talento – in qualsiasi misura lo si intenda, non è che bisogna per forza essere dei geni – il mestiere è ciò che ti permette di esprimere quel talento al meglio delle tue possibilità. Insomma, vedo il talento come un seme, e il mestiere come la cura, l'acqua e il sole che gli consentono di germogliare.
DC: Cosa pensi di Una Storia al Mese?
DP: Come dicevo, trovo che sia un'ottima palestra letteraria e un buon concorso. In giro ho sentito dire che non viene considerato alla stregua di un concorso “vero”, sotto tutti gli aspetti. Non concordo con questa visione, poiché ho trovato in usam racconti assai migliori di altri che hanno vinto concorsi più “seri”.
DC: Sempre parlando di usam: quale formula credi sia migliore per postare i racconti e quali limiti, regole, trovi giuste o sbagliate?
DP: L'idea di un forum dove postare i racconti e commentarli (e votarli) per istinto mi piace, ma credo che sia questo a declassare usam a concorso “non a tutti gli effetti”. Forse, dopo la revisione dei racconti da parte degli autori, questi dovrebbero essere postati altrove, in una pagina più “ufficiale”, che ne permetta la lettura in modo più ordinato. C'è poi il fatto che potendo cambiare il racconto per la prima metà del mese, spesso ci troviamo di fronte a buone storie con voti non ottimali, proprio perché il racconto è decollato grazie ai suggerimenti avuti in corso d'opera. Ora, non so quale scelta sia più giusta, ma forse i voti dovrebbero arrivare solo dopo la fine delle revisioni. È solo un'idea, anche se mi rendo conto che gestire questa cosa non è certo semplice.
DC: Infine, l'ultima ma non meno importante domanda: credi nell'esistenza del Monolito?
DP: Come tutte le cose astratte, di cui si percepisce la presenza pur non vedendole mai, è questione di Fede.
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