La prigionia del cielo - Le prime pagine

Prologo
Il vento ululava promesse di burrasca e la pioggia cadeva come se le cateratte del cielo avessero deciso di non chiudersi più. I pini e gli abeti si piegavano pericolosamente verso terra, come per inchinarsi all’indiscusso potere degli elementi. Il diluvio era fitto al punto che era quasi impossibile vedere a più di due o tre metri di distanza, e nemmeno i potenti lampioni della Statale 17 riuscivano a penetrare attraverso quelle sbarre d’acciaio liquido. Tuoni e fulmini cominciarono a rincorrersi sempre più dappresso e le saette, che illuminavano a giorno la piccola cittadina, erano seguite da un cupo fragore che faceva tremare le inferriate delle finestre.
Eppure, in mezzo a tutto quel finimondo, un’auto di piccola cilindrata arrancava lungo la statale. A bordo un giovane dall’aria stanca guidava con cautela, lo sguardo fisso sui piccoli torrenti che serpeggiavano sulla strada. Il tergicristallo danzava rumoroso sul parabrezza spazzando secchiate d’acqua.
La Ford svoltò in una strada secondaria, i piccoli fari rotondi ferirono la tenebra con lame di luce e disegnarono a malapena i contorni nebbiosi della via. Poi l’auto svoltò ancora a sinistra, immettendosi in una strada sterrata trasformata in un sentiero paludoso e informe. L’auto proseguì con decisione, sbandando solo impercettibilmente tra le pozzanghere melmose della via, e superò un grosso arco in legno. Da sopra l’arco pendeva un cartello in ferro mezzo rosicchiato dalla ruggine: “Tenuta Mariani”. 
L’auto raggiunse una maestosa villa coloniale a due piani circondata da querce frondose, che stormivano parlando col vento; dalla tettoia della villa cadevano cascate d’acqua nera che si fondevano con la terra ormai satura.
 Il giovane scese dall’auto e corse verso l’edificio ciabattando nelle pozzanghere scure. Si fermò sotto la tettoia: il volto tirato, lo sguardo nel vuoto. Nel cielo balenò un fulmine che illuminò per un istante il sontuoso giardino dei Mariani.
Un’istantanea del Signore, pensò il ragazzo, e pigiò il campanello che non emise alcun suono.
Un tuono rantolò il suo dolore. Bussò per tre volte. Passarono alcuni istanti e il ragazzo si cinse le spalle rabbrividendo: nonostante fosse solo settembre, il vento di Tramontana era tagliente come una spada. Finalmente qualcuno aprì: una giovane donna apparve sull’uscio di casa.
«Ah, sei qui! Bene!»
Lui non parlò ed entrò. La temperatura, in casa, era assai più mite e il ragazzo porse alla donna la giacca zuppa di pioggia.
«Gli altri sono già qui», gli disse.
Lui già lo sapeva: le loro auto erano parcheggiate nel vialetto d’ingresso. Tutta la villa era illuminata da candele, il che rendeva ancora più suggestivo ed eccitante quello che stavano per compiere. Conosceva bene la tenuta, c’era stato altre volte, così non gli fu difficile trovare la sala da tè. Gli altri lo attendevano seduti al tavolino, nel buio più completo, tranne per una piccola candela al centro del tavolo. La luce debole suggeriva i volti dell’uomo e dell’anziana donna seduti, dando alle loro fattezze contorni sinistri. Lo salutarono con un lieve cenno del capo. Il ragazzo sedette alla sinistra della vecchia e di fronte all’uomo. Furono raggiunti dalla giovane donna poco dopo. La fiammella fremette davanti ai loro occhi, mossa dagli spifferi segreti della casa, proiettando le loro enormi ombre sulle pareti. Fuori il vento gridava il suo terrore mentre il fulmine e il tuono continuavano il loro insoluto duello.
Allacciarono le mani e tra loro cadde il più assoluto silenzio. Dalle labbra socchiuse dei quattro scaturì una litania in latino, un’invocazione musicale, come una filastrocca medievale. Continuarono così per quasi mezz’ora, sempre a occhi chiusi, con la testa china, mani nelle mani e recitando quell’assurda tiritera.
Poi qualcosa accadde.
Il fulmine brillò per due volte, ma non seguì alcun rombo. Il tavolino cominciò a traballare, prima assai lentamente, con piccoli movimenti ritmici come mosso da una scossa tellurica distante, poi cominciò a sbattere con violenza contro il pavimento. La candela cadde di lato e rotolò sul bordo, ma rimase come per miracolo in equilibrio. Poi il tavolino cominciò a roteare vorticosamente su se stesso e s’alzò in aria a mezzo metro d'altezza. I quattro rimasero seduti: le mani sempre allacciate, in bocca sempre la litania rituale, come se nulla fosse accaduto.
Un tuono fragoroso scosse l’atmosfera e la grossa finestra dietro di loro si spalancò di colpo, facendo volare in alto le pesanti tende come vele spiegate dalla tempesta. Il tavolino smise di roteare e ricadde nell’esatto punto in cui era in precedenza. La candela, che era rimasta illesa fino a quel momento, precipitò sul pavimento, e si spense.
I quattro ora erano in piedi, avevano alzato le mani congiunte al cielo e stavano gridando la litania con il viso rivolto verso un punto preciso del soffitto. Un lampo illuminò la stanza e tutt’e quattro all’unisono aprirono gli occhi nel bagliore elettrico della folgore.
In alto, sopra di loro, vicino al lampadario di cristallo, levitava una donna vestita di bianco, le vesti le ondeggiavano attorno come serpi ammaestrate. L’apparizione li guardò a uno a uno con occhi di fuoco e poi rise. Una risata che sembrava giungere da un sepolcro scoperchiato.

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La Prigionia del Cielo
Impaginato da Matteo Poropat.


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Presentazione (a cura di Daniele Bonfanti):
Ed Carini è il capo della polizia di San Patrizio e si trova a indagare su una serie di omicidi brutali riconducibili ad una vendetta meditata e studiata in ogni particolare. Parallela all’indagine, la sua vicenda sentimentale: a quarant’anni è in piena crisi di mezza età, con un matrimonio che va in pezzi, un’amante che cerca spazio e la sua famiglia che gli sfugge di mano.
Alex Carini è il figlio tredicenne di Ed, sognatore e artista, fin troppo strano. Saranno i suoi sogni – spettri che attraversano la sua stanza fluttuando a diverse altezze, convergendo in un unico punto in mezzo al bosco – a condurlo in mezzo a una storia di fantasmi e a un orribile delitto sepolto. Mentre a scuola deve imparare a farsi rispettare dai bulli e conquistare la bella Mara.
Ma sono solo visioni e incubi, come crede sua madre, oppure c’è qualcosa di vero? Perché lo psicanalista da cui lo mandano in cura è così sconvolto dalle sue confidenze?
Tra sedute spiritiche, incubi e visioni, vicende scabrose, tradimenti e corruzioni, ognuno dietro la tranquillità di San Patrizio ha qualcosa da nascondere.
Troviamo nel romanzo di Cassia tutta la lezione del giallo-noir seriale all’italiana (da Montalbano a Coliandro): attento a personaggi tangibili, senza supereroismi e con cura di dettagli e quotidianità – dal cibo ai gesti più semplici.
Si inserisce in contorni di fiction romantica tra storie di tradimenti, squallori di ogni giorno e amori strascicati.
Tutto si mescola con l’orrore visionario del primo Stephen King e con un tocco di thriller all’americana, all’ombra di un antefatto drammatico e commovente (e purtroppo assai credibile) che emerge piano piano da dietro le quinte. Insabbiato, anche qui, in maniera molto “nostrana”.
L’impasto è corposo e originale, e caratterizza questa come altre opere di Cassia in maniera forte, riconoscibile e personale, che sa sempre prendere per mano il lettore e far sentire la voce dell’autore come quella di un vecchio amico.
Un’ironia malinconica e disincatata nel narrare persone più che personaggi, e vicende che incardinano i loro lati fantastici, adrenalinici e orrorifici in un impianto quanto più verosimile e ordinario. E, proprio per questo, più inquietante.
Forte il contrasto/parallelismo tra la storia di Ed e quella di Alex, che pur trovandosi a impattare con le eco tangibili della medesima vicenda, lo fanno in modo completamente differente, costruendo un gioco di specchi che però restituiscono immagini non corrispondenti. Ogni personaggio adulto ha qualcosa da nascondere, nessuno è un eroe e nessuno vince davvero. Ognuno, chi più chi meno, ha un lato meschino e vigliacco.
Dall’altro lato i ragazzi – in una pressoché totale incomunicabilità con il mondo degli adulti – e in particolare Alex, ancora innocente, che affronta la missione per puro altruismo e senso dell’avventura, capace di commuoversi quando scopre ciò che è davvero accaduto, e di superare grazie alle straordinarie vicende che vive le sue paure. E, superando la paura, si affermerà anche come adulto – nel senso buono del termine, diventando l’unico vero “eroe” di tutto il romanzo.

Malapunta!

C’è una piccola isola tra la Toscana e la Corsica, simile a una lancia di granito, che fora il Mediterraneo e punta minacciosa il cielo.
Su quell’isola si sogna.

Un uomo che ha perso l’amore e desidera solo lasciarsi morire. Un gruppo di persone che fanno della sopravvivenza il loro credo. Un clandestino cresciuto nelle fogne di Bucarest. Uno scienziato visionario e uno strano esperimento.
Un delitto orribile, tra le rovine degli antichi Druidi.
E la Fine del Mondo.

Malapunta, il romanzo di Morgan Perdinka riscoperto dal maestro Danilo Arona, da oggi è disponibile nei negozi online e nelle vostre librerie di fiducia.
Se durante il giorno sull’isola in compagnia di Danilo Arona vi è stato possibile dare una sbirciata a Malapunta, ora potrete esplorarla in lungo e in largo da soli.
Anche se sull'isola sarete tutt'altro che soli.
Cosa lega i destini di Nico Marcalli, Gabry, Hasany Dragan, Carlos Aztarain e degli altri personaggi del romanzo scritto da Perdinka prima di suicidarsi?

Malapunta è apparsa.
L’approdo è a Cala del Diavolo, e il romanzo di Perdinka è il biglietto per l’isola.
Una volta salpati, attenti a non addormentarvi.
Potreste fare strani sogni.

Il seguito de La Clessidra d'Avorio

Un seguito de La Clessidra d'Avorio?
Era da un po' che ci pensavo, ma la mancanza cronica di tempo di questo periodo sta condizionando un po' ogni cosa.
È una scusa, certo, il tempo si trova sempre. Diciamo che sono più concentrato e preso da altre cose, a partire da mio figlio, il lavoro, traslochi vari, casa nuova, mutuo e tutto ciò che ne consegue.
Non sto scrivendo nulla, anche se ho due romanzi nuovi nella fornace, pronti a invadere il mondo.
L'idea di scrivere un seguito della clessidra mi ronzava in testa già da tempo, da quando, inevitabilmente - oltre alle ottime recensioni apparse qua e là - in alcune interviste ci chiedevano se avevamo intenzione di farlo, e le risposte sono sempre state sibilline, anche se in testa sapevamo che la risposta più attendibile era negativa.
Ma il tarlo nel cervello si era attivato.
Ne ho parlato con Stefano, ma lui non sembra molto intenzionato, e un seguito senza di lui a parer mio non sarebbe all'altezza.
Però...
Però sto scrivendo il soggetto. L'idea sta prendendo forma e mi piace, sempre con Darius, Moran e Sebastien, sempre su diversi piani temporali, sempre alla ricerca di un oggetto misterioso.
Tutto è ancora molto campato in aria e i tempi si dilatano sempre perché non ci posso lavorare come vorrei.
La Clessidra d'Avorio ha avuto tempi biblici dall'ideazione alla pubblicazione, circa 7 anni, e Stefano n'è uscito distrutto :).
Vedremo come andrà.
Il difficile sarà convincerlo.

Momenti bui

Ci sono momenti bui
ma poi ti volti
e vedi gli occhi di tuo figlio

Ci sono momenti così
ma alzi la testa
e scopri il sorriso di tuo figlio

E il cuore ti diventa di burro
E tutto prende un senso

Ci sono momenti bui
ma poi ti accorgi
di essere a un passo dal cielo

Ci sono momenti così
ma apri un libro
e ci sono pagine che emozionano

E la tua anima si colora
E tutto ha il suo significato

Ci sono momenti bui
ma alzi gli occhi
e vedi le montagne in lontananza

Ci sono momenti così
ma vedi il cielo
terso e azzurro all'infinito

E il cuore ti diventa di cristallo
E tutto il buio sparisce

Actarus. La vera storia di un pilota di robot di Claudio Morici

Anno: 2001
Pag: 222
Editore: Meridiano Zero

Tokio, 2076. Anche se sei un pilota di robot di fama internazionale, la routine lavorativa alla lunga pesa. E Actarus, dopo anni che deve battersi contro i mostri di Vega anche tre quattro volte a settimana, di certe cose comincia un po’ a stufarsi. In Istituto, i colleghi ormai passano più tempo in chat che a preoccuparsi della guerra intergalattica. Il Dottore non perde occasione per sparargli le sue interminabili tirate sul futuro della razza umana, con la sua costante espressione di grande dignità. E sempre con quella noiosa sigla in sottofondo[...]

La prima volta che vidi Goldrake (Atlas Ufo Robot) era il 1980 e io e mio fratello eravamo esaltatissimi. Ho seguito tutta la saga dalla prima all'ultima puntata e, con l'ingenuità della fanciullezza, ai tempi l'avevo trovata fantastica e avvincente.
Rivendendola in età adulta (!), a parte la nostalgia sognante di quel periodo, ho compreso che l'entusiamo era soprattutto legato alla tenera età e alla novita di robotoni che si massacravano, astronavi volanti, esplosioni ecc, ecc.
Il plot di ogni puntata era sempre lo stesso, a parte qualche piccola variazione, per non parlare della sospensione dell'incredulità e della coerenza di un solo robot contro un'intera flotta planetaria, sempre vincente, e solo a difendere il Giappone. È vero che era pensato per un pubblico di bambini, e noi, fanciulli degli anni '80 di certo non avevamo la malizia dei giovani d'oggi.
Tutto questo viene sottolineato dall'autore in questo libro, con sarcasmo tagliente, tessendo una storia divertente, amara e godibilissima. Lo stile unico, psichedelico e visionario, rende la storia, sì poco lineare, ma comunque rende l'idea della crisi di mezz'età di un pilota di robot, che si ammazza di Peroni e si illude che la vita è un cartoon dove ci si trasforma in un razzo missile, si combatte per la difendere la terra ogni volta dalla distruzione e nei momenti di libertà si lavora alla Fattoria.
Morici riesce a cogliere a pieno quelle che sono le incogruenze e le falle di una storia che trasportata nel reale diventa grottesca.
Bisogna leggerlo comunque con attenzione, perché non è solo un divertissment dell'autore, al suo interno si possono anche trovare spunti di riflessione sul nostro sociale e soprattutto perché il flusso di coscienza di Actarus, quando non annebbiato dalla Peroni, è molto articolato e riflette anche sull'esistenza e sui massimi sistemi (l'ho scritto veramente?).
Adesso diro un'eresia: in alcuni momenti mi ha ricordato Palanhiuk. Solo a tratti, eh, nei momenti più intesi di flussi di coscienza dove il protagonista medita e dove la narrazione passa dal flusso stesso al PoV esterno del narratore come se fosse una telecamera mobile.
Ok, fine eresia.
Preso come una pausa fra un romanzo e l'altro (Koontz e ora Il Passaggio di Cronin), invece è risultato un romanzo vero, di quelli coi controcazzi, scritto da un italiano che vive in Messico e che come lavoro scrive per webcartoon (così cita la biografia in quarta).
Tanto di cappello.
Giudizio: 3,5 su 5

Lampi di Dean Koontz

Anno: 1990
Pag: 432
Editore: Sperling & Kupfer

Approfittando di promozioni e sconti vari su siti come ibs e bol, ho acquistato diversi libri, tra cui la maggior parte dei titoli di Koontz che mancavano all'appello nella mia libreria. Uno di questi era proprio questo Lampi che mi era sfuggito nella vasta bibliografia di questo autore.
Come già ribadito anche in altre recensioni, Koontz è uno tra i miei scrittori preferiti, tra alti e bassi, tra opere degne di nota e altre un poco deludenti. Lampi, forse perché affrontato senza nessuna aspettativa particolare, non mi ha deluso e non mi ha nemmeno fatto strappare i capelli, ma è stato comunque un buon compagno di viaggio.
Venduto come thriller, in realtà è un romanzo di fantascienza, che tratta di viaggi nel tempo, ma non solo, ovviamente. Ci sono gli elementi thriller, l'azione, il sentimento, tutti combinati sapientemente dall'autore e senza alcuni eccessi che gli ho visto fare in altri romanzi.
La trama è solida, intrigante, non solo perché spazia tra diversi piani temporali e sorprende in alcuni punti, ma anche perché trova nei protagonisti delle ottime caratterizzazioni, punto anche questo in cui a volte Koontz eccede, descrivendo personaggi poco credibili in alcune opere.
C'è qualche pecca, a mio parere anche nella traduzione, alcuni periodi risultano forzati come se fossero stati tradotti alla lettera e non interpretati, ma capita raramente e solo nei capitoli iniziali. A parer mio c'è anche un errore di coerenza in un salto temporale del viaggiatore del tempo, ma potrei anche essermi incartato io perché con tutti 'sti paradossi dopo un po' uno ci perde la crapa.
Il tutto è condito dal godibilissimo stile del RicciKoontz che non manca di regalare emozioni a nastro e colpi di scena più o meno inaspettati. Così, una pagine via l'altra, si arriva alla fine, abbastanza telefonata, ma nn deludente. Diciamo che è quello che il lettore desidera che succeda e ne rimane soddisfatto.
Un Dean in forma, quello che ho conosciuto nei suoi pezzi migliori e che è ormai entrato nei preferiti a prescindere insieme a King, di quelli che anche se esce la lista della spesa, lo compro a scatola chiusa.
Sono scemo, ma lasciatemi leggere quello che mi pare.
Giudizio: 3 su 5

Sick Building Syndrome

Una sola parola: figata!
Esperimento di scrittura collettiva in cui ognuno dei partecipanti scrive un capitolo a turno, nella modalità Round Robin che naturalmente tutti voi conoscete alla perfezione.
Appena l'idea è balzata in mente al diabolico Davide Mana, mi sono detto perché no, e allora eccomi lì, ventesimo della lista e già terrorizzato all'idea di non essere all'altezza.
Sono stupido, lo so, uno scrittore affermato come me non deve aver paur di niente :)
Questo post nel suo blog Strategie Evolutive chiarisce qual è lo spirito con cui bisogna affrontare questo esperimento e io condivido in pieno.
Ah, è stato creato un blog dedicato (Sick Building Syndrome) in cui i vari partecipanti posteranno il loro contributo e i primi capitoli sono molto interessanti e ben scritti.
Il tutto nasce da un episodio realmente accaduto. Copio e incollo dal sito ufficiale:

Nel'autunno del 2010 una casa abbandonata telefonò ripetutamente al pronto intervento. Quando gli agenti giunsero sul posto, trovarono solo un edificio in stato di abbandono, infestato dall'umidità e dalle muffe tossiche.

Vedremo cosa combinerò e cosa combineremo, per il momento mi godo i capitoli degli altri partecipanti.

La scatola a forma di cuore di Joe Hill

Anno: 2007
Pag: 367
Editore: Sperling & Kupfer

Dopo aver apprezzato ed esser stato piacevolmente sorpreso da Ghosts, ho deciso di leggermi anche questa La scatola a forma di cuore, altro libro di Joe Hill tradotto in Italiano e edito da S&K, lo stesso editore che ha i diritti del più famoso papà, un tal S.King.
I racconti di Ghosts sono piccole perle, a parte qualche rara eccezione, questo romanzo invece rientra più nell'ordinario, nonostante si intuisca qua e là che il buon sangue di famiglia non mente.
Anche questo parla di fantasmi. Di quelli incazzati che sfiorano il tangibile della realtà e fanno male ai vivi. La capacità di Hill, già incontrata nei racconti, è quella di far empatizzare subito con i personaggi, ed è bravo a farlo anche in questo romanzo. In modo più graduale, se l'è presa un po' più comoda, diciamo, ma il punto di vista della narrazione è sempre incentrato sul protagonista, Judas Coyne, rockstar di mezz'età che viene perseguitato dal fantasma del patrigno di una sua ex che si è suicidata.
L'autore sa usare i colori e i pennelli della narrazione, in modo impeccabile, aggiungendo anche qualche tono acceso che non guasta e molti chiaroscuri che ne intesificano l'effetto. La storia è godibile, si lascia leggere, e i personaggi che gravitano attorno al primo attore, sono credibili e ben disegnati.
Anche la caratterizzazione di Coyne è ben strutturata, anche perché tutta l'opera si basa sulla sua vita, sulle sue malefatte e i sui risvolti più o meno pittoreschi della vita di un cantante.
Non ci sono svolte inaspettate, anche se forse nelle intenzioni di Joe qualcosa doveva esserci, ma alcuni segreti emergono a poco a poco e sono intuibili nello svolgimento della trama, che rimane comunque egregiamente strutturata.
Si sente sempre una disperazione di fondo, una rabbia, che colma con il finale drammatico e si chiude con toni di speranza e sentimento, che comunque non stonano nel contesto.
Una buona prova, un romanzo sostenuto da un protagonista dalla forte personalità, costruito ad arte, e una trama robusta che porta al finale non certo difficile da intuire, ma godibile.
Insomma un'altra buona prova del figliol prodigo del Re, qualche tono sotto forse alla raccolta di racconti, ma comunque un romanzo che si lascia leggere e che soddisfa sotto ogni punto di vista.
Aspetto altri romanzi ed è troppo presto per fare paragoni, ma in fondo, forse non è nemmeno corretto farne.
Giudizio: 3,5 su 5

USAM Giugno: i partecipanti

Edizione di Giugno di USAM che per quanto riguarda gli iscritti si è chiusa in venti minuti esatti. Iscriversi a questo concorso mensile è diventato ormai questione di fotofinish, tutti pronti a mezzanotte per prendersi un posto nella palestra virtuale di XII.
Ecco i 15 racconti di questo mese:
  • Adunata di Maurizio Bertino
  • Anomalie di Roberto Bommarito
  • Camerati di Luca Pagnini
  • Conosci te stesso di Juri Villani
  • Di mondi nuovi, vecchi paesi e tristi memorie di Mara Capotosto
  • Gli ispettori della peste di Alberto Priora
  • Gusci di noce di Leonardo Boselli
  • H (Idrogeno) di Salvatore Proietti
  • Il segreto dei morti di Daniele Imperi
  • La città sotto la città di Lorenzo Marone
  • Tre storie di Attilio Facchini
  • La Singolarità di Gianluca Santini
  • Minuti conati di B. Bacardi
  • Momento per momento di Andrea Viscusi
  • Perché io sono qui di Luigi Bonaro
In culo all'elfo a tutti quanti e che vinca il più cattivo e sporco... e pure puzzolente.

USAM Maggio: Classifica finale!

Eccoci qua ad annunciare la classifica finale della XXXIX di Una Storia al Mese.
Godetevela in tutto il suo splendore:

1 - La canzone dell'uomo con le dita di fiamma di Giuseppe Agnoletti
2 - Il lettore universale di Andrea Viscusi
3 - Amori Fraterni di Laura Platamone
4 - Il nono cerchio di Diego Di Dio
5 - Out Of Memory di Carmelo M. Tidona

Complimenti a Giuseppe per la vittoria e a tutti quanti per aver partecipato con l'entusiamo di sempre.
Ci vediamo a giugno per la XL edizione.
Ciao!

23 maggio 1992

Gli eroi in Italia
Corrono dietro a un pallone
Ballano in televisione
Sparano nei film

Gli eroi in Italia
Frodano il fisco
Saltano i processi
Uccidono persone


Mentre c'è chi muore
Per un ideale
E non viene ricordato

Sepolto sotto sassi e omertà
Sepolto sotto parole e violenza
Ucciso dal potere e dal denaro

La lunga strada della vendetta - Joe R. Lansdale

Anno: 2007
246 pagine
Edizioni BD

Questo è il secondo Lansdale che leggo. Sono partito male con La morte ci sfida, che mi era risultato un po' indigesto e tutti a darmi dell'idiota perché ho iniziato proprio da quello.
Poi, come al solito, mi faccio influenzare da quell'orso bavoso di Silente e piglio uno che ha già recensito lui perché mi ha incuriosito.
La lunga strada della vendetta è un divertissement dell'autore che coinvolge il suo superore preferito, cioè Batman, come avrete intuito dalla copertina. Ed è così che deve essere intesa quest'opera, né più né meno.
Un uomo-pipistrello che mi ha ricordato quello tormentato e oscuro letto con Miller, in una Gotham corrotta e crepuscolare. Il ruolo di Batman, perlomeno nella prima parte del romanzo, risulta quasi marginale, molto più introspettivo e riflessivo rispetto a quello che ci si aspetta e con poca azione, a parte qualche capitolo iniziale e lo scontro finale con il supercattivo. Il resto è una sarabanda di personaggi, tutti ben caratterizzati e interessanti, che creano empatia immediata.
Ho trovato fantastici i dialoghi, soprattutto quelli tra Bruce Wayne e Alfred il maggiordomo e tra Batman e Gordon, il capo della polizia. Batman\Bruce è sempre molto sarcastico, disilluso, divertente.
Originale anche la trama, soprattutto per quel che riguarda il cattivo di turno, ed è bello che il focus non sia incentrato in prevalenza sull'uomo pipistrello, ma sulla vita e sulla storia dell'antagonista che vive in una cittadina poco lontano dalla grande città dove vive il cavaliere oscuro. Una Gotham decadente, dove ormai la criminalità nei quartieri più poveri è la padrona incotrastata anche con la presenza del paladino della giustizia.
Nonostante tutte queste premesse, l'autore ci regala anche un po' di speranza, grazie proprio alle azioni del supereroe, che paion si delle gocce d'acqua fresca in una mare di merda, ma comunque rifulgono come perle, e, a volte, risolvono situazioni complicate.
Insomma, un bel libro da bere tutto di un fiato, senza stare lì a riflettere troppo, un sano intrattenimento, una rappresentazione più che degna di un supereroe molto amato, proprio perché privo di poteri, ma incarnazione di quello che può essere superlativo nella normalità. Tormentato e triste in alcuni frangenti, ma sempre affascinante e incorruttibile.
Quindi posso dire che al secondo Lansdale ho fatto centro.
Giudizio: 3,5 su 5

La Clessidra

Granelli di tempo
Si infrangono nel vuoto
Il fuoco sulla cenere
Fenice di riflessi eburnei

Aurea vita infinita
Rincorrono gli sciocchi
Eppure è lì a portata
Sull'orlo del mondo

La sabbia ricopre il segno
Il destino di uomini stanchi
I sogni del maestro antico
L'opera rimane incompiuta

XII a Medolago il 21 maggio

Grande evento sabato 21 maggio alla Libreria Fluttuante, in Via Italia 1, a Medolago, presso il Centro Commerciale Europa 2000.
Si comincia alle 15.00, , con una chiacchierata sul catalogo, in compagnia di molti tra gli autori e redattori di Edizioni XII, tra cui Daniele Bonfanti, Davide Cassia e Stefano Sampietro, David Riva, Alberto Priora, Luigi Musolino, Raffaele Serafini, Diramazioni (che esporranno alcune delle loro celebri tavole in formato 50 x 70) e tanti altri.
A partire dalle ore 17.00 preparate le penne, perché l'Aguzzino prenderà le sembianze di Maurizio Bertino e metterà alla prova il talento e la capacità di improvvisazione di ciascuno dei volontari presenti per una sessione live della gara letteraria più veloce del web. Minuti Contati: un tema, una pagina, due ore di tempo per scrivere il miglior racconto della giornata; in palio premi targati Edizioni XII.
Dalle ore 20.30, tutti a cena alla Osteria Bacco Matto, in Via San Giovanni Bosco 40B a Bergamo, per una serata con menu a base di specialità bergamasche e prodotti tipici (sono previste varianti per vegetariani, prezzo fisso concordato € 30 a testa).
Durante la serata saranno premiati, dall'organizzatore in persona, i presenti vincitori della sesta edizione del concorso Fun Cool! Naturalmente ci riferiamo solo a coloro che hanno vinto libri. Gli altri premi saranno consegnati nelle sedi opportune...
Per ulteriori informazioni e prenotazioni, scrivete a info@xii-online.com, oppure chiamate il numero 345 340 70 24.

Il Marito di Dean Koontz

Anno: 2008
Pag: 358
Editore: Sperling & Kupfer

Mitch è inginocchiato ad aggiustare un irrigatore sotto il sole californiano quando arriva la telefonata che gli sconvolgerà per sempre la vita. Qualcuno ha rapito sua moglie, e ora le sta facendo del male. Urla da gelare il sangue. Il riscatto è di due milioni di dollari, da versare entro sessanta ore.

Koontz è uno dei miei autori preferiti. Credo di aver letto di lui buona parte della sua bibliografia e ne ho ancora in arretrato. Certo, non lo paragono al mio preferito di sempre, King, ma comunque trovo sempre molto piacevole leggere le sue storie.
Intendiamoci, al pari del Re, Dean scrive romanzi molto pop, da supermercato, non da palati raffinati. Ma in realtà a me, come ho sempre detto quasi in ogni recensione, non mi frega una cippa di essere raffinato, e chi mi conosce sa anche perché.
Se leggo un thriller, cazzarola, mi devo divertire, e Il Marito, senza infamia e senza lode, lo fa. Definirlo adrenalinico forse è un o' esagerato, diciamo che non vedi l'ora di sapere come andrà a finire, e questo è bene.
Di contro il buon Dean ha sempre la tendenza a dipingere i buoni troppo buoni e i cattivi troppo cattivi. In questo romanzo lo stacco è meno evidente come in altri (prendo ad esempio Il cattivo fratello o Senza Tregua), ma comunque, anche se le caratterizzazioni dei personaggi sono intriganti, sicuramente hanno questa piccola pecca.
Sta di fatto che me lo sono ciucciato in due settimane, complici anche turni di reperibilità snervanti, ma comunque l'ho finito in breve e con goduria.
Non è il romanzo migliore di Koontz, ce ne sono altri che lo superano di brutto (Le Lacrime del Drago, Il Posto del Buio), altri che mi hanno emozionato di più, ma questo è una piacevole passeggiata nei sentimenti umani e nello sconvolgimento di una vita e di ciò che può fare un uomo per amore.
Non ci sono elementi paranormali, extrasensoriali, horror o fantasy in questa opera, solo sano pathos. A volte gli elementi citati vengono tirati in ballo in altri romanzi a sproposito, o di proposito per sbrogliare matasse troppo complicate che nel reale non potrebbero districarsi se non con un po' di culo.
Quindi, in conclusione, è un romanzo che non entrerà nella storia, ma che comunque fa il suo sporco lavoro di intrattenere il lettore, facendolo riflettere (un pochino, dai) anche sui massimi sistemi della vita.
Giudizio: 3 su 5

Pian delle noci

Vestiti di pino
Sul fondo caliginoso del mondo
Muove spire di ricordo

La strada di ciottoli
Il muschio a betulla
Il treno senza stazione

Ombrose e strette vie
Ricalcano quello che era
Trent'anni prima

Gelido appare il soglio
Dove bambino giocavo
Invaso da denti di leone

Ricolmo invece il cuore
Là dove ho lasciato sogni
Là dove ho incontrato mostri

USAM Aprile: Classifica finale!

Eccomi ad annunciare la classifica finale della XXXVIII edizione di USAM Aprile 2011.

Voilà:



1 - Un'altra vita di Stefano Pastor

2 - Il flauto meccanico di Alberto Priora
3 - Lasciatemi dormire di Diego Di Dio
4 - iPet 2Gen di MichelaZ
5 - L’ultima Odissea di Leonardo Boselli


Complimenti a Stefano per la terza vittoria e un grazie di cuore a chi ha partecipato e ai giudici.

Buona Pasqua a tutti.

Imperium Galactica

Imperium Galactica è uno strategico in tempo reale di ambientazione spaziale sviluppato dalla ungherese Digital Reality e pubblicato nel 1997 da GT Interactive. È composto da diversi elementi di gioco, dalla battaglia spaziale in tempo reale, gestione di risorse e costruzione delle varie colonie, produzione e ricerca, gestione diplomatica tra le razze, ed espansione dell'impero.
Il giocatore, nel ruolo di Dante Johnson, inizia al comando di una nave piccola, un incrociatore e tre caccia, e tre misere colonie. Questa gestione dei livelli è un po' come un tutorial per far abituare a poco a poco alle meccaniche e ai concetti del gioco (gestione pianeta, battaglie spaziali, battaglie di terra, di ricerca componenti e produzione di navi, funzioni diplomatiche) mentre fa si fa carriera, missione dopo missione, attraverso i gradi militari, da tenente a capitano, comandante, ammiraglio e, infine, Grande Ammiraglio (dove tutte le funzioni sono sbloccate e il giocatore ha il pieno controllo). Vi dico solo che al livello finale le flotte potranno essere composte da 28 astronavi e 180 caccia stellari.
È interessante notare che, indipendentemente dalle azioni del giocatore, la galassia continua a prendere forma anche quando si sta completando il "tutorial" fino alla promozione ad Ammiraglio. Quindi bisogna giocare d'astuzia e prepararsi bene agli scontri con le flotte nemiche, che risulteranno, fino a un certo punto del gioco, sempre più numerose e ben equipaggiate. Quindi sarà bene nella prima fase difendere le proprie colonie, pilastri dell'economia dell'impero, con basi spaziali, torrette e caccia. È anche bene equipaggiare almeno una flotta con tutte le astronavi e i caccia possibili, e con tutto quello che con la ricerca si può ottenere, così da arrivare ai primi scontri del livello Grande Ammiraglio senza ritrovarsi alle mercé dei nemici, che sono molti e discretamente incazzati.
Per non farsi sottrarre le colonie, l'unico modo possibile è, all'inizio (e anche dopo) sfruttare uno dei pochi bug del gioco: le flotte nemiche cambieranno obbiettivo, ritirandosi, anche se attaccate con un numero di navi ridicolo, naturalmente premurandosi di ritirare subito dallo scontro la propria flotta.
Per il resto, il gioco è mediamente difficile, soprattutto nei primi livelli, ma comunque gratificante quando si riesce a gestire a pieno l'impero e a farlo prosperare andando a conquistare tutta la galassia conosciuta. Divertente la conquista dei pianeti, tramite battaglia spaziale e poi planetaria, con i carroarmati, rocket-launcher e veicoli speciali. Soddisfacente sotto ogni punto di vista, anche se forse la curva di apprendimento è un po' alta e non è molto longevo: una volta concluso difficilmente vien voglia di rigiocarci, forse solo per affrontare in modo diverso la conquista della galassia.
La reperibilità del gioco è scarsa in rete, anche perché non ho ben compreso se in abandon o no. Io ho dovuto scaricarlo pagando circa 4 euro.
Il gioco gira in dos, quindi, come sempre, vi consiglio Dosbox.

USAM Aprile: i finalisti

Buonasera.

È con sommo piacere che vado ad annunciare i cinque finalisti della XXXVIII edizione di USAM. Non è stato semplice scegliere, ma alla fine, dopo i soliti scontri a fuoco, bombe a mano e trick&track, siamo riusciti a venirne a capo.
Eccoli:

- Il flauto meccanico di Alberto Priora
- iPet 2Gen di MichelaZ
- Lasciatemi dormire di Diego Di Dio
- L’ultima Odissea di Leonardo Boselli
- Un'altra vita di Stefano Pastor


Complimenti ai cinque e un grazie di cuore a chi ha partecipato e commentato.

Ghosts - Joe Hill

Anno: 2009
Pag: 393
Editore: Sperling & Kupfer

Una raccolta di racconti dell'orrore che mescolano il soprannaturale alla vita quotidiana, l'incubo alla normalità, il panico allo humour senza disdegnare un pizzico di romanticismo.

Certo che essere figlio di Stephen King, si ha già la pappa pronta... nel senso che sei già straricco di famiglia e puoi dedicarti alle tue passioni, tipo l'uncinetto, lo scarabeo triangolare, o, vista la carriera di papà, la scrittura.
Che invidia, cazzarola.
E uno pensa: sì, chissà che roba, non è mica detto che tale padre tale figlio, il mondo è pieno di esempi che non farò per non offedere nessuno (i figli di Lennon, Cristiano De Andrè, che, purtroppo per lui, ha lo stesso timbro del papà, ma non lo stesso talento, di fatti adesso l'ha capito e canta solo le canzoni paterne, eccetera).
Invece Joe Hill, all'anagrafe Joseph Hillstrom King, è bravo, non so dire se come il padre, quanto il padre, o meglio di lui, perché ho letto solo questo libro. Sta di fatto che questa raccolta di racconti è davvero scritta bene (quindi tradotta anche bene), piena di perle, di racconti che lasciano il segno, alcuni veramente originali superbi, altri un po' meno, ma che sono comunque belli. Forse il primo è il meno incisivo, e lascia un po' perplessi, ma poi si riprende alla grande, inanellando uno dietro l'altro dei pezzi veramente esemplari.
L'autore ha la capacità di caratterizzare al meglio i personaggi con pochi tratti e di far empatizzare il lettore immediatamente con la storia, che per un racconto non è cosa da poco. Sa creare atmosfere che coinvolgono e affascinano, ed è abile nel creare pathos e portare al climax la narrazione.
Ha l'abilità inoltre di saper mescolare il quoditiano con l'inquietudine, che è ciò che più solletica la paura e smuovere quelle certezze ancorate alla realtà.
La maggior parte dei racconti nascondono una morale da scoprire magari rileggendo, altri sono più criptici, simbolici, ma sempre delineati con stile.
Insomma, ero scettico, lo dico sinceramente, invece mi ha fatto piacere essere smentito e sorpreso. Credo che leggero anche l'altro romanzo presente in Italia, La scatola a forma di cuore, per capire se Joe Hill può essere il degno erede del Re.
Per ora non posso ancora giudicare, ma le premesse sono ottime.

Cristalli di cuore

Tentacoli di tenebra
Dalle viscere dell'anima
Raccolgono rancore

Nessuno risponde
Nell'eco di vuoto
Un vortice di assenza

Cristalli di cuore
Sul baratro del mondo

Breve storia de La Clessidra d'Avorio

L'idea per La clessidra d'avorio è nata davanti a una pizza e una birra.

O meglio, l'intenzione di scrivere un romanzo a quattro mani. Non ricordo chi ha pronunciato la frase, probabilmente Stefano, e io ho risposto "perché no?"

Non sapevamo cosa volevamo creare, nessuna trama, luogo, tempo, solo un lieve accenno al personaggio principale, che doveva avere tratti particolari, da scienziato pazzo tipo Doc di Ritorno al Futuro.
Dopo un paio di settimane presentai a Stefano la prima bozza di canovaccio del romanzo. E lui si stupì, venendosene fuori dicendo: "Ma io pensavo scherzassi..."

Non so dire con certezza da dove mi sia nata l'idea della clessidra. È venuta fuori così, una mattina, in dormiveglia, stato in cui mi vengono le peggiori idee. Solo il nome: la clessidra d'avorio. Poi, nello stesso giorno, la rivelazione: l'oggetto detta i tempi della ricerca della Grande Opera. Mi pareva geniale.

La struttura narrativa originale, parliamo del 2004, era molto diversa rispetto al libro pubblicato nel 2010. La storia era molto più rocambolesca, guascona, qualcosa che assomigliava a un romanzo di Dumas.
A Stefano piacque l'idea della clessidra, dell'alchimia, un po' meno i troppi passaggi d'azione cappa e spada. Il mio compare rivoluzionò parecchio tutto quanto, migliorando molti aspetti della trama e, dopo un paio di mesi, soddisfatti di quanto convenuto, partimmo con la prima stesura. In realtà è più corretto dire che partii con la prima stesura, perché a me erano assegnati i piani temporali del 1800 e quello contemporaneo, mentre Stefano si era preso il gravoso compito di scrivere il diario di Giacomo Bandini, lavoro che, lo dico sinceramente, io non sarei stato in grado di fare, o perlomeno non bene come Stefano.

La stesura mi portò via tre mesi circa e, fosse stato per me, sarebbe rimasta tale e quale, ma il buon Stefano, grazie a dio, è un perfezionista, e iniziò un'opera di ristrutturazione e formattazione degna del miglior editor. Il suo merito, e non lo dico per lisciarlo ma è un dato oggettivo, è stato quello di caratterizzare in modo convincente anche i personaggi, soprattutto Darius.

Quindi seguirono aggiunte, tagli, nuove stesure, e ore e ore a discutere su quale fosse il finale migliore e su tutti gli agganci logici della struttura, per rendere più fluido e coerente il testo.
Insomma, per via di questo tira e molla arrivammo bel belli al 2008. Non tutto dovuto al lavoro sull'opera, ma anche, e soprattutto perché non siamo scrittori a tempo pieno e ognuno di noi ha impegni di lavoro, familiari, eccetera. Quindi i tempi si sono dilatati. Nel 2008 però decidemmo di inviarlo alla maggior parte degli editori medio/grandi del circus italiano attendendo fino all'inizio del 2009 senza ricevere nessuna risposta. A quel punto decidemmo, visto che avevo già pubblicato Inferno 17, di proporlo a Edizioni XII.

E voi direte: bella forza, tu ci sei dentro mani e piedi essendo uno dei fondatori. È vero, fu preso in considerazione perché io e Stefano eravamo già autori della casa editrice, e XII ha sempre grande attenzione per la sua scuderia, visto che mira a crescere insieme ai propri autori. Non c'è dubbio che avessimo un vantaggio rispetto a un esordiente, godendo di un canale privilegiato con l'editore. Vi assicuro però che La clessidra d'avorio fece fatica a passare il primo step di valutazione e poi passò attraverso un nuovo giro di editing abbastanza pesante. Alla fine vide la luce e fu pubblicato nell'ottobre del 2010.

Sincerità per sincerità, vi dico che l'ho sempre ritenuto valido, ma forse un po' troppo complesso e intricato a livello di trama e intrecci temporali. Non potete immaginare che fatica è stata incastrare tutto quanto alla perfezione, ma per questo devo ringraziare il meraviglioso lavoro degli editor di XII (alla Clessidra hanno lavorato Daniele Bonfanti e Simone Corà). Alla fine il risultato è più che soddisfacente e mi ha reso orgoglioso di aver fatto questa esperienza con Stefano.
Tutti i riscontri che ricevo dai lettori, dalle recensioni, da amici e parenti sono più che positivi. Non sta a me giudicare se sia vero o no, ma la cosa non può farmi che piacere e un po' imbarazzare quando i commenti sforano nell'entusiasmo.

Non so se io e Stefano ripeteremo l'esperienza, se ci sarà un seguito. In questo periodo siamo molto impegnati, siamo diventati genitori e il tempo è sempre meno dalla nostra parte.
Vi lascio con un ultima rivelazione: ho inziato a scribacchiare un soggetto per un seguito, ma non ne sono soddisfatto. Stefano mi dice che non riuscirebbe a starci dietro, non come il lavoro immane che è stato fatto per La clessidra d'avorio.

Ma il tempo per scrivere si trova, e allora, chissà, magari fra qualche anno vi annoieremo con un nuovo romanzo.

12 aprile 1961

Al di là del cielo
Oltre nubi di gloria
Si rivela l'universo

Le stelle rifulgono
Le terra sorride
Un uomo scrive la storia

Tra acciaio e sangue
Il sogno di poeti
Diventa realtà

La Trilogia di Bartimeus - Jonathan Stroud

Mi sono imbattuto per caso in questa trilogia, girovagando per librerie, in cerca di qualcosa che potesse stimolare la mia curiosità, e trovai, in una zona un po' imboscata di un loculo fantasy Mondadori, il primo: L'Amuleto di Samarcanda.
Mi piacque subito per l'approccio non convenzionale, per i personaggi semplici, divertenti e per la trama avvincente e intrigante. Praticamente parla di un mago alle prime armi, Nathaniel, che riesce a evocare un demone, un jiin di nome Bartimeus, e ne prende il controllo. Il protagonista in realtà è proprio il demone, il personaggio più riuscito, divertente e stravagante di tutta la trilogia.
In una Londra dall'ambientazione goth, come solo una città nebbiosa come quella britannica può avere, si muovono maghi potenti e battaglieri, demoni più o meno potenti e misteri di antica fattura. Il plot non è certo originalissimo, ma viene affrontato da Jonathan Stroud con un punto di vista sarcastico e irriverente, facendo sembrare la casta dei maghi una cricca di farabutti e approfittatori senza un domani e i demoni dei poveri schiavi al servizio degli evocatori.
L'intreccio narrativo passa dalla prospettiva di Nathaniel a quella di Bartimeus, spiazzando a volte il lettore, anche con spiegazioni a pié di pagina veramente spassose. A volte un po' sopra le righe, qualche forzature per essere divertente a tutti i costi, ma sono veramente poche lungo tutto l'arco della trilogia.
Un'opera fantasy senza troppe pretese, che non cerca il confronto con altre saghe più blasonate (vedi sotto la voci Harry Potter) e, anzi, forse ne prende le distanze con una sottile critica sociale. Di certo non si può parlare di confronto con altro tipo di fantasy, quello nordico diciamo, perché non c'entrano proprio nulla l'uno con l'altro, non dico come il giorno e la notte, ma, diciamo con il primo pomeriggio.
Se cercate qualcosa che vi possa coinvolgere e intrattenere, questa trilogia è perfetta. Sappiate che, come già detto, non è un fantasy convenzionale, di quelli con i guerrieri, gli elfi, i druidi e quant'altro. È una saga che non si prende troppo sul serio, ma che comunque si guadagna un posticino di merito nel genere senza sfigurare con concorrenti più illustri.

TRILOGIA DI BARTIMEUS:
L'Amuleto di Samarcanda
L'Occhio del Golem
La Porta di Tolomeo

USAM Aprile: i partecipanti.

Ecco i 15 partecipanti della XXXVIII edizione di USAM, Una Storia al Mese:
  • El Cabròn - Attilio Facchini
  • Il flauto meccanico - Alberto Priora
  • Il problema di Tindaro - Chiara Paci
  • Il Ricettario di John Vitale, di Luigi Bonaro
  • Io e Fabio - Maurizio Bertino
  • iPet 2Gen - MichelaZ
  • La Primavera di Roma - Marcello Gagliani Caputo
  • La primavera di Roma - Marco Onorati
  • Lasciatemi dormire - Diego Di Dio
  • L'ultima odissea - Leonardo Boselli
  • Pi - Carmelo M. Tidona
  • Poggio Luna - Antonino Alessandro
  • Ragazzi di spiaggia - L. Nivoul
  • Un'altra vita - Stefano Pastor
  • Zefiro - Daniele imperi
Si sfideranno a colpi di prosa e solo uno ne uscirà vincitore.

Poesia o non poesia?

Mi sono spesso chiesto che senso avesse postare poesie qui, che vengono buttate nel calderone e muoiono, e non aprire un blog a parte, così da essere incentivato a scriverne di più.
Il problema è che non ho mai creduto più di tanto alla poesia come forma espressiva. Mi spiego meglio: penso che per scrivere delle belle poesie bisogna essere veramente bravi e ispirati.
Delle migliaia che ho scritto nel corso della vita, ne salvo forse una decina, anche se ne ho pubblicate molte di più sul mio sito personale e su questo blog.
Penso poi che giudicare una poesia non sia difficile come per un racconto o un romanzo. Se una poesia fa schifo, fa schifo, si può valutare con parametri più oggettivi rispetto alla prosa. Trovo però che sia influenzata da una forte componente umorale, almeno per me, soprattutto per quanto riguarda le mie composizioni.
Ci sono giorni in cui leggendo alcune mie poesie mi esalto e penso: michia, come sono bravo. Il giorno dopo magari la rileggo, sono un po' più lucido o con le palle girate e penso: minchia, che cagata.
In fin della fiera dico: la poesia mi attrae tantissimo, ma non credo di esserci portato più di tanto. Questo non vuol dire che smetterò di scrivere, ma che forse non le pubblicherò più tutte a muzzo come facevo prima. O forse, aprirò un nuovo blog e le schiafferò tutte lì.
Vedremo.

Defender of the Crown

Defender of the Crown è senza dubbio uno dei giochi migliori sparati fuori dalla software house Cinemaware, e, probabilemnte, uno dei più belli, graficamente parlando, apparsi per Amiga.
Ciò che rende questo gioco un classico è la magistrale fusione di azione, avventura, ed elementi strategici.
La figata era che si doveva conquistare buona parte della Britannia medievale nei panni di uno dei tre personaggi proposti all'inizio, che avevano differenti skill, catturando il castello di ogni leader, sia sassone che normanno, con un esercito composto da soldati semplici, cavalieri e catapulte.
Oltre a combattere e conquistare magioni, si potevano anche fare incursioni notturne nei castelli nemici e partecipare a tornei. Nei tornei si andava per aumentare la propria fama o conquistare i territori degli avversari battuti a singolar tenzone. Le incursioni si facevano essenzialmente per rubare oro ai nemici, ma poteva capitare di trovare, nei castelli Normanni, una fanciulla Sassone rapita, la quale, una volta liberata diventava subito moglie (pensa un po')
Il gioco in realtà era molto semplice, bisognava accumulare denaro e conseguentemente armate e conquistare i territori migliori, cioè quelli che davano più tasse per turno. Le incursioni erano anche quelle oggettivamente semplici, con un combattimento a scorrimento laterale impugnando una spada che si doveva brandire furiosamente per abbattere gli avversari e raggiungere il sancta sanctorum dei castelli. Forse i tornei erano un pelo più difficili, ma la tecnica stava tutto nel cercare di colpire il centro dello scudo dell'avversario, e il gioco era fatto.
Il punto forte di DotC era la grafica. Spettacolare per Amiga, un po' meno nella versione PC. Suggestivi e cinematografici per l'epoca alcuni intermezzi scenici.
Non che il gioco in se non fosse divertente, ma compresi alcuni meccanismi tattici e strategici era relativamente facile vincere la partita, con tutti i personaggi giocabili. Le partite erano molto corte, anche perché si poteva vincere conquistando solo i castelli normanni, oppure, un po' più lunga, facendo fuori tutti quanti, quindi anche i potenziali alleati Sassoni.
Resta comunque una pietra miliare degli anni '80, soprattutto per l'impatto visivo che portò sugli schermi degli home computer di quel periodo.
Il gioco è in status abandonware, quindi scaricabile da qualsiasi sito dedicato ai retrogames. Io consiglio sempre di usare il dosbox così da non avere problemi in esecuzione di ambiente Win.

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