Wool di Hugh Howey

Questo Wool è un fenomeno auto-prodotto statunitense, con vendite vertiginose, grazie anche al passaparola dei lettori. Gli editori americani se lo sono accaparrato in una guerra di contratti, penso a diverse cifre e presto uscirà il film. Queste cose capitano solo là, o in un paese che non è l'Italia. Per il momento, voglio aggiungere con un pizzico di ottimismo.
Appena partiti mi ha subito ricordato Fallout, mitica saga di videogiochi ambientata in uno scenario post-nucleare con sapore retrò anni '60 dove alcuni abitanti del pianeta terra si sono tappati in queste enormi strutture chiamate Vault. Esistono alcune analogie, ma è risaputo che scrivere qualcosa di originale e che non abbia richiami a qualcosa di già visto e sentito è praticamente impossibile.
Al di là di questo, le analogie finiscono lì, perché la storia di Wool prende tutta un'altra piega e assomiglia a qualcosa d'altro di già visto e sentito, anche se non so definire con esattezza a cosa.
Da come viene pubblicizzato sembra un capolavoro assoluto, in realtà è un romanzo scritto bene, scorrevole, piacevole, anche se ho trovato alcuni passaggi un po' noiosi e forse in eccesso. Lo stile dell'autore è ordinario, non esalta né distrugge la storia, ma a volte, in alcuni rari casi, nella struttura narrativa ho trovato dei cambi di PoV (point of view) disorientanti (ma forse perché è il primo romanzo, poi col tempo e le critiche, si spera, questi difettucci spariranno).
Ambientazione claustrofobica e angosciante che inquadra nella giusta angolazione il plot e da l'idea, con pennellate di nero e grigio, di quel che è rimasto del nostro povero mondo.
I personaggi sono discretamente caratterizzati, anche se, a parer mio, con un costrutto psicologico non ben delineato, ci sono dei momenti in cui si percepisce che fanno parte di una finzione, è questo non è bene, anzi è il male assoluto per un romanzo, che ha lo scopo di avvolgerti, portarti dentro  una storia e farti dimenticare il mondo che ti circonda.
Io ho iniziato a catalogare i libri che leggo con un metro molto semplice: quelli che non vedo l'ora di riprendere in mano, quelli che finisco perché voglio vedere come va a finire nonostante tutto, e quelli che abbandono perché proprio non ce la faccio. Questo ricade nella seconda casistica.
Insomma, tirando le somme, Wool non è niente male, ma non è poi questo gran capolavoro che sbandierano tutti quanti, anche se per esprimere un giudizio completo bisognerà poi valutare l'opera nella sua interezza (sì, perché trattasi di trilogia, tanto di moda ormai).
Forse si poteva tagliare qualcosa qua e là e renderlo un pochino più snello e forse un passaggio di editing in più non gli avrebbe fatto male, soprattutto sulla caratterizzazione dei personaggi.

Capitan Low di Diego Bortolozzo

Appena acquistato e iniziato mi ha fatto tornare subito col pensiero alla mia infanzia e a Capitan Harlock (zum zum!), e l'avranno detto tutti, i known. Solo perché ci sono i pirati dello spazio e via dicendo, ma il richiamo finisce lì.
Devo essere sincero, mi aspettavo molto di più. A parer mio lo stile dell'autore e fin troppo telegrafico, sintetico, asciutto. Intendiamoci, a me non piacciono le descrizioni di 62 periodi, con voli pindarici, metafore ardite e barocche e arzigogolature varie, ma qui si è all'opposto, cioè veramente l'essenziale, con poca sostanza. Sembra una lista della struttura narrativa sviluppata per punti sintetici e poi pubblicata così. Troppo spesso ho avuto la sensazione di una chiusura sbrigativa, senza nessun approfondimento.
Inoltre i personaggi non hanno spessore, la loro caratterizzazione non è convincente, non si entra in empatia con nessuno di loro, sembrano proprio personaggi di carta e non ti coinvolgono nella storia.
Il plot, come è logico supporre, non è nemmeno originale, ma di questi tempi trovare qualcosa di questo tipo è raro, in fondo la storia è godibile, il tessuto narrativo ben strutturato e intrigante, anche se si perde un po' nel finale.
Un vero peccato, perché per me, stile e, soprattutto, personaggi sono parti fondamentali di un libro, senza protagonisti convincenti la storia non decolla.

I Mecha di Napoleone III di Alessandro Girola

Questa prova di Alessandro "McNab" Girola dimostra una volta per tutte che lui è diventato uno scrittore coi fiocchi. Non che prima non lo fosse e l'anche avevo ribadito in altre recensioni di suoi racconti, ma questo I Mecha di Napoleone III è roba fresca, scritta di recente. Qui l'autore da sfoggio di tutta la sua maestria nel uso degli strumenti di narratore confezionando un racconto intrigante, coinvolgente e, soprattutto, divertente.
I Mecha di Napoleone III parla di robottoni e mostri-guerrieri e il pensiero va subito a Pacific Rim, il Girola si è ispirato al film, ma le somiglianze finiscono lì, I robot di La Marmora e questo seguito sono ambientati all fine del '900 con tutto ciò che ne consegue in fatto di tecnologia e ambientazione. L'autore è molto bravo anche in questo, cioè nell'adattare il racconto all'epoca e rendere il tutto credibile, anche con l'arrivo di una astronave aliena che sconvolge tutto il processo tecnologico del pianeta Terra.
I personaggi sono ben caratterizzati, si entra subito nella loro testa, e alcuni sono fenomenali, tipo il Conte De Luer e il suo copilota di colore Nafasi, a mio parere quello più carismatico e riuscito. I dialoghi sono ben strutturati, mai fuori dalle righe, adeguati al contesto e spesso intriganti e divertenti.
La trama è intessuta con sagacia, alternando le varie fasi concitate della guerra, tenendo sempre sulle spine il lettore, che non vede l'ora di giungere al nocciolo della questione, e sgranocchia parole una dietro l'altra.
Insomma lo avete capito, anche questo secondo capitolo mi è piaciuto molto, non mi resta che consigliarlo a tutti, anche a chi non conosce il genere e storce il naso quando sente parlare di fantascienza, steampunk, dieselpunk o qualcosapunk.

Ritorno a casa di Rita Carla Francesca Monticelli

E quindi uscimmo a riveder le stelle, o meglio, Marte in tutta la sua magnificenza. Sì, perché il protagonista della saga in quattro puntate di Deserto Rosso e indiscutibilmente lui, il quarto pianeta del sistema solare.
Giunti quindi alla fine possiamo tirare le somme. L'autrice ci sa fare con la parole, lo si nota fin da subito e ha curato i suoi racconti nei minimi dettagli, alla faccia di chi vuol male agli autori self-publishing. Si nota bene che si è documentata e parla con cognizione di causa su ogni argomento affrontato. Normale, direte voi, ma non sempre è così, molti scrittori si buttano allo sbaraglio, facendo errori madornali, solo perché sono pigri o non gliene importa nulla, tanto vendono comunque. So da fonti certe che poi ha ingaggiato diversi lettori facendoli diventare beta reader così da avere un potente strumento per saggiare il polso dei suoi racconti e, non ultimo, dei pareri disinteressati e critici per migliorare la propria opera.
Il quarto episodio? L'ho trovato un po' sottotono rispetto agli altri tre, forse perché infarcito di flashback che ne inficiano un pochino il tessuto narrativo, confondendo, a volte, il lettore. Probabilmente non erano necessari, alcuni vengono innestati da ricordi della protagonista, si ha un poco la sensazione che siano stati messi lì per allungare un po' la storia e non renderla troppo scarna. Il risultato è una sensazione di disorientamento e perplessità. In più c'è la battaglia dei sentimenti nel triangolo Anna-Hassan-Jan che alla lunga stanca.
Il migliore rimane per me il terzo episodio Nemico invisibile, poi il primo, il secondo e metto come ultimo questo quarto per i motivi già espressi sopra.
Nell'insieme un'ottima saga di fantascienza, soprattutto per la cura con cui è stata scritta, per i metodi, per alcune trovate narrative niente male e per il modo in cui Rita C. F. Monticelli coccola i suoi lettori.

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